Vini dealcolati, il boom che non ti aspetti: così Millennials e Gen Z “tradiscono” Bacco

Esigenze salutiste e nuovo Codice della Strada spingono il consumo di vino senz’alcol: +30% degli impianti. E mentre si discute se sia un’opportunità o un attentato alla tradizione, le cantine (anche a Nordest) si allineano per diversificare la produzione.

Roma – Sono le nuove star dell’enopanorama, ma l’alcol l’hanno decisamente dimenticato per strada. Parliamo ovviamente dei vini dealcolati, il cui mercato negli ultimi anni ha vissuto una crescita significativa, attirando prepotentemente l’attenzione di produttori, consumatori e legislatori, e non sempre in maniera positiva. Considerati da qualcuno la soluzione ideale per chi ama bere un paio di bicchieri senza le ben note controindicazioni e da qualcun altro come un vero e proprio “attentato alla tradizione”, i vini senz’alcol sono – a dirlo sono i dati di vendita – il fenomeno del momento, rappresentativo forse meglio di tanti altri del contesto di cambiamenti culturali, normativi e sociali che stanno ridefinendo molti aspetti della società di oggi. E il mondo del vino tradizionale non è esente.

Ma cosa sono esattamente i vini dealcolati? Inizialmente veri e propri vini ottenuti con i processi tradizionali di vinificazione, i vini dealcolati subiscono un processo di rimozione o riduzione dell’alcol attraverso tecniche specifiche come l’osmosi inversa, la distillazione sotto vuoto o l’estrazione con membrane filtranti. Questi metodi permettono di mantenere intatte molte delle caratteristiche organolettiche del vino, pur eliminando o abbassando la gradazione alcolica fino a livelli trascurabili (generalmente sotto l’1% di alcol in volume).

I vini dealcolati si ottengono eliminando o abbassando la gradazione alcolica fino a livelli trascurabili

Messa così, è chiaro che la produzione di vini dealcolati richiede impianti tecnologicamente avanzati ed è un processo tutt’altro che semplice, che richiede precisione, know how e competenze. In Italia, molte cantine stanno investendo in macchinari dedicati per rispondere a una domanda in forte crescita. Secondo l’Unione Italiana Vini (UIV), il 2024 ha segnato un incremento del 30% nelle richieste di impianti per la dealcolazione. Il Nord-Est italiano – Veneto in testa –, tradizionalmente una delle aree più vocate per la produzione vinicola, sta registrando una crescita significativa in questo segmento, con aziende che vedono nei vini dealcolati non più un “tradimento” dell’abitudine a concedersi un “goto” o un'”ombreta“, bensì un’opportunità per valorizzare anche bottiglie invendute o eccedenze produttive.

Il successo di questi prodotti può essere attribuito a diversi fattori. In primo luogo, incontrano il favore di consumatori più giovani, come i Millennial e la Generazione Z, che mostrano una crescente attenzione verso stili di vita salutari, moderazione nel consumo di alcol e sostenibilità. Inoltre, i vini dealcolati rappresentano una soluzione ideale per chi desidera degustare un calice in santa pace senza compromettere la lucidità ed evitare il rischio di (salatissime) multe per chi viene pizzicato a guidare in stato di ebbrezza.

A dare una “spinta” ai vini dealcolati è stata anche la recente approvazione del nuovo Codice della Strada

E proprio a tal proposito, a livello normativo, la recente approvazione del nuovo Codice della Strada ha giocato un ruolo chiave nel favorire la diffusione di vini dealcolati. Oltre a far crollare il consumo di bottiglie nei bar e nei ristoranti – o almeno così denunciano molti operatori del settore -, le restrizioni più rigide in materia di alcol alla guida hanno infatti spinto molti produttori a investire nella categoria per rispondere alla domanda di alternative compatibili con le nuove regole. E così, dopo un iniziale scetticismo l’Italia ora si allinea a paesi come Francia e Germania, dove i vini a bassa gradazione o dealcolati hanno già trovato un ampio mercato. Fuori dall’Europa, gli Stati Uniti e l’Australia stanno emergendo come leader nella produzione e nel consumo di questi prodotti, grazie a un approccio meno vincolato dalle tradizioni e più orientato all’innovazione.

Nel Belpaese patria del vino, comunque, la dealcolazione ha sollevato polemiche e accesi dibattiti, sicuramente più che altrove. Forte di una tradizione antichissima che affonda le sue radici ancor prima dei romani, elemento rituale per le civiltà italiche, gli etruschi e i latini e poi cardine della liturgia cristiana, il vino è visto come un simbolo del patrimonio culturale e gastronomico nazionale, e l’idea di rimuovere l’alcol è stata percepita da alcuni come un’eresia. Personalità di spicco del mondo enologico, come Roberta Ceretto delle Langhe, si sono espresse con fermezza contro questa pratica, sottolineando il rischio di snaturare la tradizione. Siamo pur sempre figli di Bacco, no? Altri, come Pia Bosca, vedono invece nei vini dealcolati un’opportunità per ampliare il mercato e garantire al consumatore una scelta più ampia, senza per questo compromettere la qualità o il valore del prodotto.

Discussioni a parte, i numeri confermano il potenziale dei vini dealcolati. Secondo i dati forniti dall’UIV, il segmento potrebbe rappresentare il 10% del mercato vinicolo globale entro il 2030. Tuttavia, restano alcune sfide: il costo elevato dei macchinari per la dealcolazione e la necessità di educare il consumatore medio sulle caratteristiche e le qualità di questi vini.

Guardando al futuro, il settore enologico si trova – c’è poco da fare – di fronte a un bivio. Da un lato, c’è la necessità di preservare la tradizione e l’identità del vino, dall’altro, l’opportunità di innovare e adattarsi a un mondo in perenne evoluzione. I vini dealcolati rappresentano una risposta a questa sfida, offrendo una nuova prospettiva sul consumo di vino e aprendo la strada a un mercato in continua trasformazione.

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