Per il giudice la sostanza era “inidonea” a provocare danni permanenti perché nel locale era possibile risciacquarsi subito.
Verbania – Ha svuotato due flaconi di acido muriatico addosso all’ex compagna, aggredendola all’interno del salone da parrucchiera della donna. Eppure per il giudice non si è trattato di un tentativo di deformazione o sfregio permanente del viso. L’uomo, un 64enne attualmente ai domiciliari, è stato condannato a tre anni di reclusione dal giudice per l’udienza preliminare di Verbania con una sentenza che ha però riqualificato i reati contestati, suscitando non poche polemiche.
L’episodio risale al 28 dicembre 2023, quando l’uomo fece irruzione nel salone di parrucchiera della ex compagna e le svuotò addosso due flaconi di acido muriatico. La donna fu attinta dal liquido sui capelli, sul collo e sul viso, ma grazie all’immediato e abbondante risciacquo non riportò danni cicatriziali o profondi sull’epidermide.
Nei giorni precedenti all’aggressione, l’uomo aveva inviato alla vittima una serie di messaggi minatori: “quegli occhi potrebbero non vedere più”, “l’acido brucia bene”, “quindi d’ora in poi guardati le spalle! E se vai dai carabinieri per te è finita”. Minacce che facevano presagire l’intenzione di compiere un gesto violento.
Nelle motivazioni della sentenza emessa il 12 novembre scorso, il Gip ha spiegato che il liquido utilizzato, contenente acido cloridrico al 6,5%, era “inidoneo” a provocare “in concreto” il danno permanente. Secondo il gup, nel locale era “possibile risciacquare immediatamente la cute colpita senza attendere i circa quindici minuti necessari per la cristallizzazione della lesione”.
Questo elemento ha portato a un “diverso inquadramento giuridico” del fatto, collocando l’accaduto “al di fuori dei confini” del reato di tentata deformazione dell’aspetto. Il giudice ha però precisato che tale valutazione “in nulla indulge rispetto alla gravità della condotta delittuosa” dell’imputato.
Il Gup ha riconosciuto le tentate lesioni gravissime anziché la tentata deformazione dell’aspetto, così come le minacce anziché lo stalking. La pena inflitta è stata di tre anni, la stessa richiesta dal pubblico ministero, ma con una diversa qualificazione giuridica dei fatti che ha sollevato perplessità.