Le sortite del tycoon già in campagna elettorale delineano più che un programma politico una crociata di stampo autoritario contro le derive liberal.
“Una delle cose a cui assistiamo oggi è una sorta di sonnambulismo verso la dittatura negli Stati Uniti”. A parlare non è una pasionaria liberal alla quale si ferma la digestione soltanto a veder apparire in televisione il ghigno di Trump, ma la ex numero tre del partito Partito repubblicano alla Camera Liz Cheney, nonché figlia dell’ex vice presidente Dick, in pura teoria una che dovrebbe stare dalla parte del tycoon newiorchese.
In realtà più passano le settimane, e più si fa concreta la possibilità che Trump, anche per assenza di competitor interni al partito, si presenti ai nastri di partenza per la seconda personale corsa alla Casa Bianca (novembre 2024), e più si evidenzia la crisi di rigetto dell’establishment del Grand Old Party, il partito di Lincoln che di fatto non esiste più.
Ora è il partito di Trump, il leader maximo che intende trascinate la base, non più sostenitori ma adepti, in quella che appare non solo nei toni una crociata a tutto campo e senza esclusione di colpi contro ciò che sostiene essere il vero cancro dell’America, l’agenda liberal.
Militari nelle strade per garantire l’ordine, dipartimento alla Giustizia mobilitato per punire i dissidenti politici, un organismo centralizzato con l’incarico di dare le licenze per l’insegnamento solo ai professori che dimostrano di avere ideali patriottici: questo il programma presidenziale che Trump sta delineando comizio dopo comizio, linee programmatiche anticipate anche dai principali quotidiani del Paese.
Il New York Times scrive che i più stretti collaboratori del candidato presidente stanno preparando un piano ad alzo zero di contrasto all’immigrazione clandestina, programma che prevede raid, campi di detenzione per gli illegali e voli per ricacciarli subito indietro. E Trump non smentisce, anzi rincara la dose: “Realizzeremo la più grande operazione di deportazione interna nella storia americana”.
Un interventismo di stampo dirigista che pretende di allungare le mani dello Stato fino a lambire quelle sacre libertà di cui storicamente il vecchio partito Repubblicano si era sempre fatto custode. Un programma che tra l’altro costerebbe alle casse dello Stato uno sproposito, altro punto di frizione con l’ideologia del partito, da sempre legata alla responsabilità fiscale degli esecutivi. Ma i mal di pancia repubblicani sembrano davvero palesarsi fuori tempo massimo.
Non solo perché un’alternativa credibile a Trump non esiste, ma soprattutto perché la vecchia base del partito sembra tutt’altro che scandalizzata dai bellicosi propositi del miliardario, avendo da tempo sposato la radicalizzazione dello scontro proposta dal leader. Tutto il resto sembra non contare, sacrificato sull’altare di un’opposizione a tutto campo, più militare che politica, all’odiata agenda liberale.