Strage di Erba: Olindo e Rosa di nuovo in aula, oggi si discute l’istanza di revisione

Il pool di legali della coppia condannata all’ergastolo punta a ribaltare la verità processuale e il verdetto con le nuove prove.

Brescia – Olindo Romano e Rosa Bazzi sono presenti in aula a Brescia per assistere anche alla seconda
udienza, dopo quella dell’1 marzo scorso, per discutere l’istanza di revisione del processo per la strage di Erba del 2006 che si è concluso con la condanna per entrambi all’ergastolo. I difensori della coppia esporranno oggi l’istanza. Saranno quattro i difensori a intervenire sui vari aspetti della richiesta. La coppia non ha autorizzato di esser ripresa. La discussione è iniziata con l’intervento del professor Nico D’Ascola.

Dimostrare il più grande errore giudiziario della storia, è l’impegno che la difesa di Olindo e Rosa, che sono stati condannati in via definitiva al carcere a vita, si sono assunti con la richiesta di revisione del processo e che oggi sono pronti a sostenere in aula davanti ai giudici della seconda sezione della corte d’appello di Brescia. In un’udienza, che si preannuncia lunga e probabilmente non definitiva, gli avvocati Fabio Schembri, Nico D’Ascola, Patrizia Morello e Luisa Bordeaux proveranno a mettere in fila l’elenco di nuove prove che potrebbero cambiare la verità giudiziaria dell’11 dicembre di 17 anni fa quando, sotto i colpi di spranga e coltelli, morirono – nella palazzina di via Diaz – Raffaella Castagna, il figlio Youssef di soli due anni, la nonna del piccolo Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini, moglie dell’unico sopravvissuto Mario Frigerio.

Il magistrato Tarfusser che ha chiesto la revisione, Rosa e Olindo

Le confessioni sono “false”, infarcite di “errori” e “discrepanze” è la tesi difensiva. L’analisi di un proprio pool di esperti offre agli avvocati conclusioni nette: i racconti sulla strage da parte della coppia “risultano piene di errori, molti elementi della scena del crimine vengono ‘sbagliati’ (tra il 50 e il 70%)”. Le versioni “non sono dettagliate, non sono sovrapponibili, non sono combacianti, non sono coerenti e non sono costanti; dunque hanno tutte le caratteristiche delle false confessioni”. Olindo colleziona “centinaia” di ‘non lo so’, ‘non mi ricordo’, ‘mi sembra’, ‘questo adesso mi sfugge’, lo stesso Rosa. “Quelle che vengono definite confessioni sono, in realtà, una serie di ‘sì’ a suggerimenti”. E “incontrovertibilmente falsa” è anche la ricostruzione sull’omicidio di Valeria Cherubini che, a dire della difesa, è stata finita nella sua mansarda.

Desta dubbi nei legali di Olindo e Rosa anche il racconto di Frigerio (morto nel 2014), salvatosi dalla strage solo per una malformazione alla carotide. Ricoverato in rianimazione all’ospedale Sant’Anna di Como, può essere ascoltato solo a circa 86 ore dai fatti. Dal 15 al 26 dicembre del 2006 viene sentito otto volte e, sostiene la difesa, prima riferisce di un killer sconosciuto con la pelle olivastra, poi dal 2 gennaio parla di Olindo come del suo aggressore. Un racconto non genuino: “L’intossicazione da monossido di carbonio”, gli assassini appiccano il fuoco nell’appartamento di Raffaella Castagna per cancellare le tracce della strage, “hanno determinato il decadimento di funzioni cognitive importanti, come alterazioni della memoria, della capacità di ricordare e della capacità di orientamento”.

Pubblico fuori dal Tribunale di Brescia

La difesa lamenta anche “la mancanza di circa il 60% delle audio registrazioni” e insiste su un punto: le dichiarazioni dopo il 15 dicembre “sono da considerarsi non idonee in quanto esito di centinaia di domande suggestive” che “hanno attecchito facilmente nel testimone in una condizione di vulnerabilità psichica” e che ha determinato la creazione di una “falsa memoria in merito a Olindo Romano quale aggressore”. E ancora, i legali mostrano incredulità per la presenza (contestata) di una sola macchia di sangue, una traccia di Valeria Cherubini, trovata sul battitacco dell’auto dell’ex netturbino visionata a poche ore dalla strage, poi di nuovo la sera del 26 dicembre. Le operazioni di ispezione, repertazione e verbalizzazione dei carabinieri avvengono con tempi e modalità ritenute, da chi sostiene l’innocenza, non trasparenti.

Non solo: le foto scattate e catalogate con “approssimazione tolgono forza all’unica prova scientifica“. Tre prove a cui le sentenze dedicano decine di pagine – ben 70 per le confessioni, 23 per il riconoscimento e 21 per la macchia di sangue – e rispetto alle quali la difesa prova a insinuare il dubbio per smontare una verità giudiziaria che regge da più di 17 anni. Del resto le tre prove principali nel processo per la strage di Erba “sono maturate in un contesto che definire malato è un eufemismo” ha sempre sostenuto Cuno Tarfusser, il sostituto procuratore della Corte d’Appello di Milano che ha chiesto la revisione del processo. Al termine delle discussioni, saranno i giudici della Corte d’Appello a decidere se ammettere qualcuna delle prove e delle consulenze presentate dai legali e se riscrivere la storia. Da zero.

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