La famiglia di Simonetta Kalfus denuncia il chirurgo, già condannato in passato: “L’operazione doveva essere semplice”.
Roma – E’ indagata il chirurgo che ha effettuato la liposuzione alla sessantaduenne Simonetta Kalfus, morta dopo pochi giorni all’ospedale Grassi di Ostia. Con lui lo sono anche l’anestesista che lo avrebbe assistito e un medico del pronto soccorso della clinica Sant’Anna di Pomezia, che aveva dimesso la donna dopo un primo ricovero. I carabinieri della compagnia di Anzio, che indagano sulla vicenda dopo la denuncia presentata dalla figlia di Simonetta, hanno acquisito la cartella clinica e tutta la documentazione sanitaria relativa alla donna. Ora si attendono gli esiti dell’autopsia effettuata nei giorni scorsi.
Simonetta Kalfus, 62enne di Ardea, è morta il 18 marzo scorso all’ospedale Grassi di Ostia, dodici giorni dopo un intervento di liposuzione eseguito in una clinica privata della Capitale. Quella che doveva essere un’operazione estetica di routine — un rimodellamento dei glutei — si è trasformata in un calvario culminato con un arresto cardiaco, dopo giorni di coma e infezioni diffuse. La famiglia, devastata, punta il dito contro il chirurgo, già condannato un anno fa per lesioni legate a un intervento di mastoplastica, e chiede giustizia: “Il corpo era pieno di infezioni, ci hanno detto che le hanno tolto grasso ovunque.”
Il dramma inizia il 6 marzo, quando Simonetta si reca nella clinica di Cinecittà accompagnata da un amico anestesista, senza informare i familiari. “Non sapevamo nulla,” racconta Danilo Pizi, genero della vittima, al Messaggero. Dopo l’operazione, i primi dolori vengono attribuiti al normale decorso post-operatorio, ma la situazione precipita. L’11 marzo, i familiari la portano al pronto soccorso di Pomezia: una TAC negativa e una flebo, poi la dimissione con antibiotici. “Pensavamo fosse sotto controllo,” dice Pizi. Ma il giorno dopo, il chirurgo e l’anestesista intervengono a casa con un’ulteriore flebo, un segnale che qualcosa non va.
Un’agonia di giorni
Il 13 marzo, le condizioni di Simonetta crollano. L’anestesista, che lavora al Grassi, la trasferisce d’urgenza nell’ospedale di Ostia. La figlia Eleonora riceve una chiamata dalla madre, ma è l’ultima: Simonetta entra in coma farmacologico per un’ischemia, con febbre a 41 gradi e infezioni che devastano il corpo. “Era irriconoscibile,” ricorda Pizi. Dopo giorni di agonia, nella notte tra il 17 e il 18 marzo, i medici comunicano l’irreversibile: alle 4:30, un arresto cardiaco pone fine alla sua vita.

Una grave sepsi. Sarebbe questa, secondo i primi risultati dell’autopsia eseguita il 21 marzo, la causa della morte di Simonetta. L’esame autoptico è stato svolto all’istituto di medicina legale di Tor Vergata su disposizione della Procura. “Il medico legale dice che la liposuzione potrebbe essere la causa,” spiega il genero. “Doveva essere solo ai glutei, ma le hanno aspirato grasso persino sotto il mento. Il corpo era un focolaio di infezioni.” La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo, e i Carabinieri di Ardea—dove la figlia aveva sporto denuncia il 17 marzo—stanno acquisendo la documentazione clinica.
Il chirurgo sotto accusa
La rabbia della famiglia si concentra sul chirurgo, un professionista già noto alla giustizia. “Era stato condannato un anno fa per un intervento al seno andato male,” denuncia Pizi. “Come può operare ancora?” La vicenda richiama casi simili, come quello di Margaret Spada, 22enne morta nel 2024 dopo una rinoplastica a Roma. Gli inquirenti stanno verificando se ci siano state negligenze: dalla tecnica usata—la liposuzione comporta rischi di infezioni se non eseguita in sterilità—alla gestione post-operatoria, segnata da ritardi e interventi domiciliari anomali.
Simonetta, descritta dagli amici su Facebook come “splendida” e “sempre sorridente,” lascia un vuoto incolmabile. “La tua bambina è distrutta,” scrive un’amica. Ora, mentre la comunità di Ardea piange, la giustizia deve rispondere: un’operazione estetica può trasformarsi in una condanna a morte?