Il racket era gestito da un 52enne: obbligava i diportisti a pagare in cambio della “protezione” dei natanti, che altrimenti venivano danneggiati.
Bari – Quattro persone sono state arrestate (tre in carcere e una ai domiciliari) dai carabinieri della Stazione di Bari Santo Spirito per estorsione continuata aggravata in concorso e incendio aggravato, entrambe con l’aggravante del metodo mafioso, nonché “occupazione abusiva di spazio demaniale”. L’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal Gip presso il Tribunale di Bari su richiesta della locale DDA.
Le indagini dei militari hanno fatto luce sul clima di assoggettamento cui erano soggetti i titolari delle imbarcazioni ormeggiate nel porto di Bari “Santo Spirito”, denunciato in un esposto anonimo pervenuto presso gli uffici della stazione dei carabinieri.
I successivi approfondimenti, condotti mediante l’analisi dei sistemi di videosorveglianza, numerosi servizi di osservazione e l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche, hanno consentito di accertare il collaudato sistema estorsivo messo in atto da un 52enne, censurato e gravato da un precedente penale per reati associativi, il quale, da diverso tempo e con il concorso di altri due indagati, tutti destinatari di provvedimento cautelare in carcere, svolgeva un servizio di guardiania abusiva nel porto, inducendo i diportisti a corrispondere somme di denaro a titolo di “protezione” del natante ormeggiato, pena la prospettazione di un danno ingiusto.
Le richieste, su base mensile, erano definite da un tariffario in base alle dimensioni del natante, da un minimo di 10 euro per i “gozzetti” ai 100 euro per i pescherecci, il tutto in un clima di omertà e di assoggettamento delle vittime, consapevoli, in caso di rifiuto, del rischio di furto della strumentazione installata a bordo o del danneggiamento degli stessi natanti, come ricostruito nell’attività investigativa.
In particolare, si è evidenziato il ruolo di supremazia acquisito nel porto dal cinquantaduenne che aveva occupato abusivamente l’area demaniale antistante il porto, delimitandola con una catena, così da impedirne l’uso pubblico al fine di adibirla a parcheggio delle autovetture private, ricevendo spesso la preventiva richiesta telefonica da alcuni utenti. Lo stesso indagato aveva poi tentato di inserirsi nell’attività di custode presso un circolo nautico del porto, minacciando di morte il legittimo custode al fine di indurlo a rinunciare al servizio di guardiania svolto, senza tuttavia riuscirci.
Oltre al ruolo dei tre principali indagati, è emerso il coinvolgimento della moglie del 52enne, destinataria di misura cautelare agli arresti domiciliari, consapevole della provenienza illecita del denaro riscosso dal coniuge al porto e incaricata dallo stesso di registrare le mensilità ricevute dalle vittime.