Scandalo dossieraggio: il capo del Dap “sotto torchio” in Commissione Antimafia

Russo dice che non sapeva degli accessi su Casellati, della vicenda Crosetto e smentisce un suo intervento per il rientro di Striano in Dna.

Roma – Torna in audizione in commissione Antimafia Giovanni Russo, attuale capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che in precedenza era alla procura nazionale antimafia. E questa volta entra nel dettaglio, con tanto di botta e risposta con la presidente Chiara Colosimo. L’atmosfera è tesa sulle ombre dello scandalo che ha travolto la politica e uomini dello Stato su cui si vuole e si deve andare a fondo senza se e senza ma. Russo dice di non sapere nulla degli accessi del finanziere Pasquale Striano, da cui è partito tutta l’attività di spionaggio sull’ex presidente del Senato Elisabetta Casellati. E di non sapere nulla sulla vicenda che ha riguardato il ministro della Difesa Guido Crosetto. 

Quest’ultimo verrà ascoltato dal Copasir sulla vicenda di cui parla Russo. A confermarlo il presidente del Comitato, Lorenzo Guerini, che ha detto: “Sulla base delle carte faremo un ciclo di audizioni nel quale ci sarà anche il ministro che ha dato la sua disponibilità. E’ una questione di definizione di agende, sarà nei prossimi giorni”. A marzo, quando era scoppiato il caso durante il colloquio tra i titolari di Difesa e Giustizia, il ministro Nordio aveva ipotizzato una “commissione parlamentare d’Inchiesta con potere inquirente, per analizzare una volta per tutte questa deviazione che già si era rilevata gravissima ai tempi dello scandalo Palamara e che adesso, proprio per le parole di Cantone, è diventata ancora più seria”.

Guido Crosetto

“L’impiego da parte di un funzionario infedele, non sappiamo ancora il livello eventuale di partecipazione a queste deviazioni anche del magistrato che doveva controllare questo era ignoto. Era sconosciuto a me, a Melillo, altrimenti si sarebbe intervenuti”, ha detto il capo del Dap. Ma soprattutto Russo “smentisce categoricamente” che sia stato lui a far rientrare Striano, nel 2016 in Dna: “Non conoscevo l’affermazione di Laudati secondo cui sarei stato io a farlo rientrare”, dice e fa notare “il ruolo di estrema delicatezza affidatomi negli ultimi 12, 13 anni di permanenza in Dna dal procuratore Grasso, dal procuratore Roberti e dal procuratore Cafiero, nessuno dei poliziotti, dei finanzieri, dei carabinieri, Dia o altre forze di polizia che ha mai lavorato in Dna è stato da me selezionato, indicato, sollecitato. Nessuno”.

E ancora: “Come è arrivato Striano in Dna? Io non mi occupavo di questo, i miei interlocutori erano i vertici delle forze di polizia o i responsabili dei settori specifici. Io ignoravo che Striano avesse lavorato a Reggio Calabria quando era procuratore Cafiero De Raho. A me Cafiero De Raho non ha mai detto di un pregresso rapporto con Striano”. “Adesso la commissione si sta preoccupando della tenuta e segretezza rispetto a questi dati – aggiunge il capo del Dap – perché sono stati bucati, perché c’è stata questa vistosa e dannosissima fuga di notizie. Anzi, più che fuga utilizzazione per fini deviati. La prima finalità che deve andare di pari passo con queste cautele di sicurezza è quella di far funzionare il sistema, cioè utilizzare efficacemente queste informazioni ai fini di contrasto antimafia e antiterrorismo”. Russo ha aggiunto che “rinunciare alla potenzialità di questi incroci informativi per il pericolo che possano accadere fenomeni di questo genere è una preoccupazione sproporzionata”.

Giovanni Melillo

Nel frattempo il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Giovanni Melillo, in un’intervista al Corriere entra nello specifico nell’inchiesta di Perugia, con Raffaele Cantone che sta indagando anche sull’ex pm Antonio Laudati e il tenente della Gdf Pasquale Striano: “Considerando l’enormità dei dati esfiltrati in pochi anni dalla banca dati antimafia e antiterrorismo e dai sistemi informativi delle forze di polizia, attraverso quella che obiettivamente appare come una sistematica attività da infiltrato. Naturalmente, occorrerà attendere la conclusione delle investigazioni e la loro verifica processuale per compiere valutazioni più approfondite. E il mio ufficio continuerà ad assicurare tutto il necessario supporto alle indagini del procuratore di Perugia”.

Russo poi parla di Striano che “era refrattario al controllo delle sue presenze in Dna, e io sostenevo che chiunque entrasse in Dna dovesse lasciare una traccia. Le forze di polizia stabilmente destinate alla Dna avevano dei brogliacci, dei sistemi anche informatizzati di controllo di presenze, in modo tale che in un qualunque momento si potesse ricostruire chi c’era in quell’istante negli uffici della Dna. Striano, essendo un aggregato, in una posizione ibrida, rifiutava di dare indicazioni di quando era presente. Io feci un provvedimento in generale, ma dovuto a questa refrattarietà, che per ragioni di sicurezza imponeva a tutte le persone che venivano a qualsiasi titolo in Dna dovessero depositare la firma all’ingresso presso gli organi di controllo”.

Chiara Colosimo

E non è finita. Il capo del Dap tira in ballo “una segnalazione che ha riguardato operazioni sospette riguardanti appartenenti al partito della Lega. Io me ne sono occupato, c’è un atto a mia firma di inoltro al procuratore di Milano, come seguito rispetto ad un altro atto precedente che era stato firmato dal Procuratore nazionale. Noi ricevemmo, non ricordo se tra i due atti o dopo il secondo atto, una dura presa di posizione del procuratore di Milano si doleva e la prendeva come una interferenza, dicendo che non c’era niente di mafia, niente di terrorismo, perchè voi vi ingerite in questo tipo di approfondimenti? Questa cosa colpì molto il procuratore nazionale, facemmo una riunione nel corso della quale il procuratore Cafiero affermò, pretese di veicolare un messaggi molto fermo di divieto assoluto di approfondimento, di segnalazioni sospette o qualunque altro tipo di approfondimento pre-investigativo laddove non fosse la chiaro o ragionevolmente sospettabile il profilo antimafia o antiterrorismo”.

E qui l’intervento della presidente della Commissione Antimafia, Chiara Colosimo che rivolgendosi a Russo replica: “Rimane una discrepanza sul fatto se ha fatto queste doglianze al procuratore De Raho, perchè non le ha messe per iscritto al procuratore Melillo. Se c’era una difficoltà, e risulta da quello che lei ci sta dicendo facendo riferimento ai fondi della Lega, che c’era una difficoltà, ci risulta che ci furono dei blocchi nelle segnalazioni sospette, perché questa cosa non è mai emersa rimane tra le domande che la Commissione si fa”. Colosimo infine non nasconde con un appunto, forse una riflessione: “Se arriviamo all’indagine penale vuol dire che abbiamo già fallito sulla sicurezza interna della banca dati”.

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