Altro che bravata è un reato vero e proprio e va punito. Sottrarre e distruggere un simbolo è roba da delinquenti. E vale per tutti.
Rubare una bandiera non è una bravata. E se ci state pensando, desistete o, se lo avete già fatto, ringraziate tutti i vostri santi per averla fatta franca. Già, perché il Tribunale di Genova ha appena emesso una condanna a 2 anni e 4 mesi di detenzione nei confronti di un 44enne colpevole di aver sfilato, spezzato e sottratto una bandiera.
I fatti risalgono all’ottobre del 2017, quando una donna, Cinzia Ronzitti, militante del Partito Comunista dei Lavoratori, si stava recando alla “Festa rivoluzionaria del Partito Comunista dei lavoratori” in quel di Genova. Poco prima dell’ingresso all’area feste, la donna ha visto un uomo sfilare una delle bandiere del partito, per poi spezzarne l’asta. Stupita, ha chiesto spiegazioni ma l’uomo ha risposto prima con un insulto, poi con il lancio l’asta spezzata – senza colpirla –, concludendo con un forte spintone che l’ha fatta cadere a terra. A soccorrere la signora è stato un passante che, nel frattempo, era riuscito a fotografare il motorino sul quale il ladro era scappato insieme ad un suo amico. Portata in Pronto Soccorso, Ronzitti è stata medicata e dimessa con una prognosi di dodici giorni. Da lì la denuncia, il procedimento giudiziario e la condanna, arrivata lo scorso 19 novembre, in cui il giudice scrive che:
«nessun dubbio esiste sull’avvenuta sottrazione di una delle bandiere esposte nella piazza dove era in corso la manifestazione politica», evento che «integra a tutti gli effetti l’elemento materiale del contestato delitto di furto».
Eravamo partiti dal concetto di “bravata”, e forse lo stesso ha pensato anche il Pubblico Ministero, che aveva chiesto una condanna a 9 mesi e 500 euro di multa. Bene, con questa sentenza il giudice toglie ogni dubbio:
«nel riconoscimento del delitto di furto – scrive il giudice – sussiste anche l’elemento psicologico, vale a dire il dolo specifico di profitto. Il sottoscritto (ovvero il giudice, ndr) ritiene di aderire all’autorevole, seppure non univoco, orientamento della Suprema Corte di Cassazione il quale opina che il concetto di profitto debba essere inteso in senso più ampio, in modo da comprendervi anche il vantaggio di natura non patrimoniale, realizzabile con l’impossessamento della cosa mobile altrui. In tal senso si è per l’appunto affermato che il fine del profitto, in cui si concretizza il dolo specifico, non debba individuarsi esclusivamente nella volontà di trarre un’utilità patrimoniale dal bene sottratto ma anche il soddisfacimento di un bisogno psichico che risponde alla finalità di dispetto, ritorsione o vendetta».
E se questo non bastasse a fugare ogni dubbio, Baldini prosegue. «Corretta – prosegue poi – risulta poi l’aggravante su cosa esposta per consuetudine alla pubblica fede, oggetto di impossessamento essendo per l’appunto una bandiera appesa sulla pubblica via in occasione di una manifestazione politica». Il magistrato conclude poi comprovando anche «gli atteggiamenti intimidatori» e «l’aver spintonato e scaraventato a terra la signora Ronzitti», condannando l’imputato anche per i delitti di minaccia e lesioni personali.
Ardolino è quindi stato condannato a 2 anni e 4 mesi reclusione e al pagamento di una multa da mille euro – e questo come pena minima per il delitto di furto – oltre a quello che sarà il risarcimento dei danni, il cui ammontare verrà deciso in un separato giudizio, ovvero quello che sarà un secondo processo civile. Nell’attesa però, Baldini ha disposto che Ardolino pagasse a Ronzitti immediatamente, in via provvisionale, 3mila euro oltre alla rifusione delle spese legali. «La condanna – spiega Marco Repetto, legale della signora – si riferisce in primis al furto aggravato della bandiera che era esposta e per questo ha comminato la pena detentiva in due anni e quattro mesi. La mia assistita si è costituita parte civile solo per i reati di minaccia e lesioni e non per il furto della bandiera, che non era sua.»