Incastrata una banda di criminali operanti in tutta Italia. Procura e polizia Postale etnee hanno recuperato proventi illeciti per decine di migliaia di euro e apposto i sigilli ad apparecchiature elettroniche per IPTV che diffondevano illegalmente a milioni di abbonati contenuti video di frodo.
Catania – Nell’ultimo periodo le reti clandestine dedite alla diffusione di materiale protetto da copyright dietro pagamento sono diventate un fenomeno deviante di tutto rilievo. Si tratta delle famose IPTV, acronimo di Internet Protocol Television, che hanno visto la loro nascita e ascesa con l’avvento di Internet e altro non sono che standard di trasmissione che utilizzano la rete per inviare flussi video.
Esistono due grandi categorie di IPTV, ovvero quelle che trasmettono contenuti live e quelle che invece si affidano al video on demand. Alla prima appartengono, ad esempio, i canali in diretta trasmessi RAI o SKY, mentre alla seconda appartengono servizi come Netflix, Mediaset Infinity, Sky On Demand ed altri ancora.
Una premessa d’obbligo per sottolineare che l’IPTV non nasce come uno strumento in mano ai pirati del video, ma è una realtà perfettamente legale utilizzata ogni giorno da milioni di italiani.
Eppure, nonostante il costante miglioramento delle protezioni delle TV satellitari a pagamento e del digitale terrestre rispetto al passato, gli hacker hanno aggirato l’ostacolo sfruttando proprio l’IPTV come protocollo di trasmissione.
L’ultimo caso noto riguarda una maxi operazione della Polizia di Stato contro lo streaming illegale, denominata ”Operazione Black Out”. Nello specifico la Procura Distrettuale di Catania ha coordinato diversi filoni d’indagine eseguite dalla polizia Postale e delle Comunicazioni sull’esistenza di una complessa infrastruttura tecnologica, gestita da un’associazione a delinquere di schema piramidale, attiva a livello nazionale.
Tale banda criminale sarebbe responsabile della diffusione via Internet di un segnale illegalmente captato relativo a numerose piattaforme di contenuti televisivi a pagamento, tra cui Sky, DAZN, Mediaset, Netflix.
Una delle centrali è stata individuata nella città di Messina, che gestiva circa l’80% del flusso illegale IPTV a livello nazionale, ma sono state eseguite perquisizioni anche a Roma, Cagliari, Catania, Siracusa, Palermo, Agrigento, Bari, Taranto, Napoli, Caserta, Salerno, Potenza, Pistoia, Pisa, Fermo e Milano.
Una vendita illegale pubblicizzata anche su Telegram, in numerosi social network, siti di bot, canali, gruppi, account, forum e blog. Ai 45 indagati il Pm titolare delle indagini contesta il reato di “associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei delitti di accesso abusivo a sistema informatico protetto da misure di sicurezza (art. 615 ter aggravato c.p.), di frode informatica aggravata dall’ingente danno arrecato (art.640 ter c.p.) e di abusiva riproduzione e diffusione a mezzo internet di opere protette dal diritto d’autore e opere dell’ingegno (art. 171 ter legge n. 633/1941)”.
Inoltre nelle abitazioni di alcuni degli indagati è stato sequestrato denaro in contanti per decine di migliaia di euro. Probabili proventi dell’attività illecita che, contando su circa 1.500.000 utilizzatori che pagavano 10 euro al mese, ha prodotto un volume d’affari illeciti pari a 15.000.000 euro mensili, determinando contemporaneamente un congruo, mancato introito per i fornitori “legittimi” di servizi televisivi a pagamento.
Nel pensiero comune, erroneamente, la fruizione di un sistema pirata non viene considerato un ”crimine” ma una furbata, soprattutto se crediamo di avere sottratto solo pochi spiccioli ad uno dei tanti colossi esistenti sul mercato.
Ma sarebbe sufficiente considerare il fenomeno nella sua complessità per capire che, in realtà, le azioni dei singoli mettono in crisi un intero sistema produttivo. E quando un settore produttivo è in crisi cassa integrazione prima e licenziamenti dopo rappresentano il naturale evolversi della tragedia.