Il Dubbio ha pubblicato il messaggio inviato dal magistrato di Catania ai difensori degli indagati nell’inchiesta ‘Vasi comunicanti’.
Catania – Alla fine di un processo oltre le condanne, le assoluzioni, dovrebbe restare l’umanità e l’umano rispetto. Ne è autentica testimonianza la lettera del sostituto procuratore di Catania Fabio Regolo, pubblicata integralmente dal quotidiano il Dubbio’. Una missiva del magistrato indirizzata ai difensori dell’inchiesta “Vasi comunicanti”, nella quale erano coinvolti medici e rappresentanti di aziende farmaceutiche accusati di aver messo in piedi una rete corruttiva. Accuse per le quali è stata disposta, per tutti, l’archiviazione.
“Ho ritenuto doveroso comunicarvi di persona che ho appena depositato la richiesta di archiviazione. Il Giudice dirà se la scelta effettuata è giusta o è sbagliata, se è completa o parziale. I vostri assistiti forse saranno gli unici a conoscere la verità vera, noi dobbiamo attenerci alla verità che emerge dagli elementi di fatto acquisiti“, afferma Regolo nella lettera. “Quello che posso dire – aggiunge – è che l’ho redatta dopo aver letto con la dovuta attenzione (sentendo, come in tutti gli altri casi che in 17 anni di lavoro mi sono capitati tra le mani, il peso della decisione che non è solo una questione di correttezza giuridica, di tecnicalità, ma che impatta sulla pelle viva delle persone che a vario titolo sono coinvolte in quei mucchi di carte che comunemente definiamo fascicoli) la mole di atti prodotti praticamente da ciascuno di voi”.
Nelle righe pubblicate da Il Dubbio il magistrato afferma che “dopo aver riflettuto in modo laico, senza ragionare in termini di “vittoria” o “sconfitta”, sugli elementi di fatto presenti nel fascicolo (e solo su quelli) avendo in mente la cultura della prova, cercando, anche in una vicenda delicata, di non dimenticare mai l’imperativo morale che facendo leva sull’art. 358 c.p.p. ci esorta ad essere pm che ragionano come un Giudice, pm aperti al dubbio sull’innocenza dell’indagato, che valuta le prove con lo stesso atteggiamento di terzietà del Giudice e che quindi cerca la verità con prudenza del giudizio insieme a tutti gli altri protagonisti del processo e prima ancora del procedimento.
Alla fine di “un duro lavoro che ha visto come sapete confronti con gli indagati nel corso degli interrogatori, confronti con voi difensori, confronti con le letture offerte dalla polizia giudiziaria – prosegue – mi sia consentito condividere con voi come anche questa vicenda, ancora una volta, mi conferma quanto sia fondamentale operare con l’ottica di preservare (in concreto e non tanto nei convegni) una comune cultura della giurisdizione tra Giudici, pubblici ministeri ed avvocati, che non è un inutile orpello o un principio fatto di vuoto, ma a mio modesto avviso (rappresento a mala pena me stesso, sia chiaro, quindi parlo per come la vivo io da piccolo operatore di provincia) è la vera garanzia per coloro che alla fine sono i veri fruitori del Servizio Giustizia ossia i cittadini che si trovino ad essere indagati, imputati o persone offese”.
E poi la conclusione: “Quando ci incontreremo nuovamente in questi corridoi o in altre tappe di questa storia chiamata vita mi direte, se riterrete, cosa ne pensate dell’impostazione. Mi scuso per la lunghezza del messaggio che spero non sia giudicato un fuor d’opera. È solo un voler rendere conto di quello che si fa e di quello che non si fa – aspetto che resta per me fondamentale del nostro agire vissuto come servizio – ed un modo per conservare un minimo di rapporto umano sia pure nel rispetto sacrosanto dei distinti ruoli da ciascuno di noi ricoperti”.