Anali cliniche e diagnostiche rinviate sine die per dare spazio all'emergenza Covid-19. IN questi giorni migliaia di ammalati protestano perchè sono nell'impossibilità di farsi curare. Prenotazioni annullate e call center dismessi servono solo a seminare ulteriore disagio e incertezze.
Gli ospedali italiani sono ancora in piena gestione emergenza COVID-19, schiacciati da un pesante fardello che vede l’impiego massiccio di personale, chiusure e trasformazioni di reparti in terapia intensiva e subintensiva e la costruzione di ospedali da campo dedicati alle cure dei contagiati. Eppure esistono anche altri pazienti, quelli di sempre, i non COVID. I malati cronici, oncologici, portatori di malattie rare, gli immunodepressi, i disabili, gli anziani pluripatologici nelle RSA che, ultimamente, sembrano essere posteggiati nel dimenticatoio. Insomma l’ordinaria amministrazione che i nosocomi nazionali sembrano aver dimenticando annullando, in molti casi, anche le prenotazioni remote dismettendo anche i call center ed i sistemi di prenotazione telematica. Le ordinarie inefficienze del sistema sanitario nazionale si sono sommate a una linea di comando disomogenea. Si è creata una situazione “delirante” a macchia di leopardo che ha portato, in molti casi, alla sospensione delle terapie essenziali (ma anche di controlli, esami clinici e diagnostici) per questa tipologia parallela di pazienti, esponendoli così a ben più gravi rischi nel caso dovessero contrarre lo stramaledetto virus. Alcune regioni si sono già organizzate per la gestione decentrata dei bisogni dei cittadini, preferendo l’assistenza ambulatoriale, è il caso del Veneto e dell’Emilia Romagna, oppure l’ospedalizzazione come la Lombardia, altre invece sono ancora indietro. Sarebbe doveroso che tutte le regioni richiedessero l’attivazione di un piano B per l’assistenza a casa dei malati cronici e oncologici, oltre a una semplificazione di quella onnipresente burocrazia che li obbliga ad andare dal medico o in ospedale solo per attivare i protocolli amministrativi.
A tale proposito Cittadinanza attiva (organizzazione che promuove l’attivismo dei cittadini per la tutela dei diritti, la cura dei beni comuni e il sostegno delle persone in condizioni di debolezza) con il tribunale per i Diritti del malato e il Coordinamento nazionale delle associazioni dei malati cronici (CnAmc) ha proposto un emendamento (primo firmatario Tommaso Nannicini, PD) al decreto Cura Italia. Il documento è ora al vaglio del Senato e si propone di stanziare un fondo straordinario di oltre un miliardo di euro a favore delle cure assistenziali delle categorie più a rischio.
A causa della saturazione ospedaliera e del pericolo di contagio, la sanità si è messa in stand-by per quanti non avevano visite o interventi urgenti in questo difficile momento, che si sono visti posticipare, sine die, tutti gli appuntamenti. Abbiamo chiesto informazioni all’URP di tre nosocomi: l’IRCCS San Raffaele di Milano, il Sant’Orsola di Bologna e l’ARNAS Ospedale Civico di Cristina Benfratelli di Palermo. Ci hanno confermato che, in ottemperanza al nuovo decreto governativo dell’8 marzo 2020, integrato dal decreto n. 3353 del 15 marzo 2020, dal 9 dello stesso mese sono state sospese, come dovrebbe essere in tutti gli ospedali, le visite e le attività chirurgiche specialistiche programmate e non urgenti. Sono state mantenute le attività ambulatoriali in regime di solvenza non differibili, mentre in regime di SSN, solo le prestazioni urgenti con priorità U (urgente) e B (breve). Le attività non differibili come la chemioterapia, la radioterapia, la dialisi, le prestazioni nei punti nascita, dell’area della salute mentale e delle dipendenze sono state preservate. Salvo nuove disposizioni del governo, i servizi sanitari programmati riprenderanno regolarmente a partire dal 4 maggio. Il San Raffaele ha recentemente introdotto il teleconsulto, un nuovo servizio che permette di rivolgersi online a medici, nutrizionisti e psicologi senza doversi recare direttamente in ospedale ed evitando così situazioni di assembramento.
Al Sant’Orsola di Bologna dove nel mese di febbraio, a ridosso dell’inizio della pandemia, è stato effettuato il primo intervento al mondo in realtà aumentata tramite lo speciale visore Vostars, sono stati garantiti i corsi pre-parto in collegamento streaming con le ostetriche. L’assessore regionale alla Sanità, Raffaele Donini, si è dichiarato intenzionato a puntare molto, in futuro, sulla telemedicina, metodo utilizzato finora solo per teleconsulti neurochirurgici sugli studi TAC in un nosocomio palermitano. Al di là di queste possibili e innovative comunicazioni tra medico e paziente e in vista dell’ipotetica fine della quarantena, è di fondamentale importanza programmare una strategia che consenta ai cittadini di accedere in completa sicurezza a quelle cure e analisi che nelle ultime settimane sono state rimandate. Perché, nel frattempo, le altre patologie non sono magicamente sparite e i malati continuano a essere tali.Qualcuno sicuramente più grave.
Chi aveva prenotato consulti, chi aveva quadri clinici incerti, o chi si è visto rinviare una risonanza magnetica nucleare, è rimasto sospeso in un limbo, in attesa di risposte che, al momento, non possono arrivare. Tutti i reparti ospedalieri, nel rispetto dei protocolli di sicurezza, devono essere in grado di tornare a lavorare a pieno regime. E subito. Non possiamo rischiare ancora a lungo che tante situazioni patologiche si complichino aggiungendo all’elenco delle morti per coronavirus, anche quelle che, per effetto indiretto, avrebbero per vittime persone che non si sono potute curare. Riapriamo i reparti. E’ una priorità assoluta.