Simbolo dell’impegno per la pace e la giustizia, proprio nella Striscia di Gaza trovò la morte nel 2011. Oggi è la madre a raccontare nelle scuole la lotta del figlio per i diritti umani.
Nei giorni della tregua a Gaza, mentre il silenzio delle armi lascia spazio a un fragile respiro di speranza, torna prepotente il ricordo di Vittorio Arrigoni. Attivista, pacifista e giornalista brianzolo, Arrigoni scelse di dedicare la sua vita alla causa palestinese, pagando con il prezzo più alto: la sua stessa vita. Ucciso il 15 aprile 2011 nella Striscia di Gaza, Arrigoni rimane un simbolo di lotta per la pace e la giustizia, incastonato nella memoria collettiva attraverso il suo motto: “Restiamo umani”.
Nato il 4 febbraio 1975 a Besana in Brianza, Vittorio Arrigoni fin da giovane sposò la causa dei diritti umani. La sua vita prese una svolta decisiva nel 2008, quando decise di unirsi al Movimento Internazionale di Solidarietà (ISM), un’organizzazione non governativa impegnata nella difesa del popolo palestinese.
Arrigoni arrivò a Gaza via mare, sfidando il blocco israeliano insieme ad altri attivisti a bordo delle navi della Freedom Flotilla. Non fu un viaggio di protesta, ma un atto concreto per portare aiuti umanitari e denunciare al mondo le condizioni drammatiche vissute dalla popolazione palestinese. Da quel momento, Gaza divenne la sua casa e il teatro della sua instancabile battaglia per la pace.
A Gaza, Arrigoni si immerse totalmente nella vita della comunità. Raccontò la quotidianità di un popolo martoriato dalla guerra attraverso articoli, reportage e video pubblicati sul suo blog e sui social media. Le sue parole erano potenti e intrise di un’umanità disarmante, capaci di attraversare confini e raggiungere i cuori di migliaia di persone.
Vittorio non era solo un cronista della guerra: partecipava attivamente alla resistenza pacifica. Difendeva i pescatori di Gaza dalle incursioni delle forze israeliane, accompagnava gli agricoltori nei campi vicini alla zona cuscinetto, dove il rischio di essere colpiti era costante. Era mosso dalla convinzione che il dialogo e la solidarietà potessero costruire un ponte verso la pace.
Il motto “Restiamo umani”, che Arrigoni ripeteva spesso, è diventato il cuore pulsante del suo messaggio. Non era solo un invito alla compassione, ma un richiamo universale alla dignità umana, al rispetto reciproco e alla costruzione di una società giusta. Quelle due parole, così semplici ma potenti, continuano a ispirare movimenti pacifisti in tutto il mondo.
Il 14 aprile 2011, Vittorio fu rapito da un gruppo estremista salafita nella Striscia di Gaza. Nonostante gli appelli internazionali e gli sforzi delle autorità locali, il suo corpo senza vita fu trovato il giorno successivo. Aveva 36 anni. La sua morte scosse profondamente non solo la comunità internazionale, ma anche il popolo palestinese, che lo considerava un fratello.
Oggi, la sua eredità vive attraverso le sue parole, i suoi scritti e l’impegno di chi porta avanti il suo messaggio. Tra questi, spicca sua madre, Egidia Beretta Arrigoni, ex sindaca di Bulciago, che ha scelto di trasformare il dolore in un’opportunità di sensibilizzazione. Ha dedicato gli ultimi anni a raccontare nelle scuole la storia di suo figlio e la sua lotta per i diritti umani. Con una forza straordinaria, parla agli studenti del coraggio di Vittorio, della sua scelta di schierarsi dalla parte degli oppressi e del valore del dialogo come strumento di pace.
“Vittorio credeva nella possibilità di un mondo migliore, costruito sulla solidarietà e sull’empatia,” racconta. “‘Restiamo umani’ non era solo uno slogan, ma un modo di vivere. Il suo sacrificio non deve essere vano.”