Processo Pifferi Bis: assolte l’avvocata Pontenani e le psicologhe del carcere

Il Gup respinge l’ipotesi di un complotto per falsificare i test e ridurre la pena della donna accusata di aver causato la morte della figlia Diana.

Milano – Si è concluso con un’assoluzione generale il processo secondario legato al caso Alessia Pifferi, la donna condannata per aver causato la morte della figlia Diana, di appena 18 mesi, abbandonata in casa per sei giorni nell’estate del 2022. Il giudice per l’udienza preliminare Roberto Crepaldi ha scagionato tutti gli imputati: l’avvocata difensore, tre psicologhe che operavano nel carcere milanese di San Vittore e uno psichiatra consulente della difesa.

L’inchiesta, coordinata dal Pm Francesco De Tommasi, si fondava sull’ipotesi che i professionisti coinvolti avessero orchestrato un’operazione coordinata per manipolare l’esito delle valutazioni psichiatriche sulla donna. Al centro delle contestazioni c’era in particolare il test di Wais, un importante strumento di valutazione cognitiva che, secondo la tesi accusatoria, sarebbe stato oggetto di alterazioni.

L’obiettivo presunto di questa presunta manipolazione sarebbe stato quello di far emergere un quadro di deficit cognitivo tale da giustificare il riconoscimento di un vizio parziale di mente. Tale condizione avrebbe potuto influenzare la sentenza, evitando alla donna la condanna alla pena massima dell’ergastolo.

Secondo la ricostruzione del magistrato inquirente, l’avvocata Pontenani avrebbe svolto il ruolo di “regista” di questa operazione, con il compito specifico di far apparire la propria assistita come una persona con gravi limitazioni cognitive. Questo risultato sarebbe stato perseguito attraverso colloqui descritti come irregolari e mediante la presunta falsificazione del test psicologico.

Nelle sue requisitorie, il Pm De Tommasi aveva tracciato un ritratto molto duro di Alessia Pifferi, descrivendola come una persona priva di empatia e sensibilità affettiva, capace di menzogna e indifferenza, che avrebbe deliberatamente lasciato morire la propria bambina. Una visione che contrastava con quella che l’accusa riteneva fosse l’immagine artificialmente costruita attraverso i presunti falsi professionali.

Nonostante le ipotesi investigative sul presunto tentativo di influenzare le valutazioni, le perizie psichiatriche disposte dal Tribunale hanno fornito risultati coerenti in entrambi i gradi di giudizio. Gli esperti nominati dalla magistratura hanno sempre concluso che Pifferi fosse pienamente capace di intendere e volere al momento dei fatti.

Le valutazioni hanno evidenziato alcune caratteristiche psicologiche particolari, come quella che è stata definita un’incapacità di riconoscere e gestire le emozioni, oltre a un lieve ritardo nello sviluppo intellettivo. Tuttavia, questi elementi non sono stati ritenuti sufficienti a configurare un’incapacità di comprendere il significato delle proprie azioni.

Nel processo principale, la donna ha ricevuto inizialmente la condanna all’ergastolo per omicidio volontario. Successivamente, la Corte d’Assise d’Appello di Milano ha ridotto la pena a 24 anni di reclusione, eliminando l’aggravante relativa alla futilità dei motivi e riconoscendo le attenuanti generiche.

Nel processo per falso conclusosi oggi, il Pubblico ministero aveva avanzato richieste di condanna significative: quattro anni di reclusione per l’avvocata e per una delle psicologhe, tre anni e mezzo per lo psichiatra consulente, e tre anni per le altre due professioniste coinvolte.

Il giudice Crepaldi, tuttavia, ha ritenuto di non accogliere le tesi accusatorie, pronunciando l’assoluzione di tutti gli imputati che avevano scelto il rito abbreviato. Resta da definire la posizione dell’unica psicologa che non ha optato per questa modalità processuale: per lei è stato chiesto il rinvio a giudizio e dovrà affrontare un processo ordinario.