Fiorenza Cossentino, madre della 14enne uccisa ad Afragola, risponde duramente alla richiesta di perdono inviata al Pontefice dal killer reo confesso Alessio Tucci.
Napoli – «Altro che perdono, mia figlia è tornata a casa in una bara». Con queste parole piene di dolore e rabbia Fiorenza Cossentino, madre di Martina Carbonaro, la 14enne brutalmente uccisa a sassate dal suo ex fidanzato Alessio Tucci, 19 anni, ha risposto alla lettera scritta dall’assassino a Papa Leone XIV, nella quale il giovane chiedeva perdono per il delitto.
La madre di Martina ha appreso la notizia del messaggio del giovane detenuto e, dopo averlo definito «un mostro» sui social, è tornata a esprimere tutta la sua indignazione: «Andrò io dal Papa con gli occhiali di mia figlia uccisa», ha scritto la donna sui social. Spero che il Papa non gli risponda mai. Il modo in cui ha ucciso mia figlia non lo avrebbe fatto nemmeno un serial killer».
Il delitto e la richiesta di perdono
Martina è stata assassinata a colpi di pietra il 28 maggio scorso in un campo tra Caivano e Afragola. Alessio Tucci, reo confesso, non accettava la fine della relazione e ha compiuto un gesto di una violenza inaudita. Inizialmente detenuto nel carcere di Poggioreale, è stato poi trasferito in un’altra struttura penitenziaria per motivi di sicurezza.
Con l’aiuto di un cappellano volontario, Tucci ha recentemente inviato una lettera al Santo Padre, chiedendo perdono per le “conseguenze delle sue azioni”.
Ma la famiglia di Martina ha respinto con forza l’iniziativa. L’avvocato Sergio Pisani, legale della famiglia Carbonaro, ha commentato: «Avrebbe fatto prima e meglio a rivolgere la sua richiesta di perdono ai genitori di Martina».
Il dolore di una madre
Fiorenza Cossentino continua a condividere il proprio dolore con chi la segue sui social: «È un mostro che ha ucciso la mia unica figlia. Lettere? Se davvero il Papa volesse occuparsi di questo delitto, allora che chiami me. Che ascolti una madre che ha visto sua figlia tornare in una bara».
Una posizione netta, che riflette il trauma indelebile di una perdita atroce e la difficoltà, se non l’impossibilità, di accettare qualunque gesto di pentimento da parte dell’assassino.