A causa di un errato certificato di morte trasmesso dall’Asl di Frosinone all’Inps, un pensionato di Posta Fibreno è stato considerato deceduto dall’Istituto che gli ha subito sospeso l’assegno.
Frosinone – Un errore burocratico surreale ha trasformato la vita di Michele, un 78enne di Posta Fibreno, in provincia di Frosinone, in un incubo degno di un racconto di Kafka. Da marzo 2025, l’uomo non riceve più la sua pensione perché, per l’INPS, risulta morto a causa di un certificato di morte emesso per sbaglio. La vicenda, riportata da Il Messaggero, nasce dalla confusione con il decesso reale di un familiare e si è trasformata in una battaglia contro una macchina amministrativa che sembra ignorare la sua esistenza in vita.
Il certificato di morte sbagliato e la pensione interrotta
L’odissea di Michele inizia il 24 febbraio 2025, quando un suo familiare di 90 anni muore presso l’ospedale Santissima Trinità di Sora, in provincia di Frosinone. Nella concitazione della compilazione dei documenti per le onoranze funebri, viene redatto un certificato di morte corretto per il defunto, ma, per un errore umano, ne viene emesso un secondo intestato erroneamente al 78enne Michele.
Questo documento, trasmesso all’ASL di Frosinone, innesca una catena di conseguenze amministrative: la comunicazione del decesso arriva all’INPS, che, senza ulteriori verifiche, sospende la pensione di Michele a partire dalla rata di marzo 2025. Due giorni dopo, il 26 febbraio, l’ASL si accorge della svista e invia una comunicazione correttiva all’INPS, segnalando che Michele è vivo. Tuttavia questa rettifica viene ignorata dalla “macchina burocratica”, che ha già avviato la procedura di cessazione degli emolumenti. Il risultato è che Michele, vivo e in buona salute, si ritrova senza la sua unica fonte di sostentamento, costretto a combattere per dimostrare la propria esistenza.
Lo choc della scoperta: “Per noi lei è morto”
A marzo, preoccupato per il mancato accredito della pensione, Michele si reca presso gli uffici INPS di Frosinone per chiedere chiarimenti. La risposta che riceve è tanto surreale quanto spiazzante: “Guardi che lei è morto. Se vuole dimostrare il contrario, porti un documento che attesti che è vivo.” La scena pirandelliana vede un uomo in carne e ossa costretto a giustificare la propria esistenza di fronte a un sistema che lo considera defunto. Neppure la sua presenza fisica basta a sbloccare la situazione. L’INPS richiede una documentazione formale per rettificare l’errore, un iter che si rivela lento e complesso. Michele, come racconta a Il Messaggero, è incredulo: “È tutto così assurdo, non ci credo. Ma soprattutto quei soldi mi servono, non ho altra fonte di sostentamento.” Senza pensione, l’uomo si trova in gravi difficoltà economiche, costretto a sostenere spese quotidiane senza reddito e a correre tra patronati e avvocati per risolvere una situazione che non avrebbe mai dovuto verificarsi.
La battaglia legale per la pensione: una diffida per ripristinare la verità
A prendere in mano la situazione è l’avvocato Antonio Lecce, che ha inviato una diffida formale all’ASL di Frosinone, chiedendo un’immediata rettifica del certificato di morte e la trasmissione del documento corretto a INPS, INAIL e Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF). La diffida rappresenta un ultimatum: se l’errore non sarà sanato in tempi rapidi, il caso finirà davanti a un giudice. La diffida punta a costringere l’ASL a collaborare con l’INPS per aggiornare i dati anagrafici e riattivare la pensione, ma il processo si scontra con i tempi lunghi della burocrazia. In casi simili, la correzione di errori anagrafici può richiedere mesi, soprattutto quando coinvolge più enti pubblici. Nel frattempo, Michele vive in un limbo amministrativo, costretto a dimostrare di essere vivo in un sistema che lo ha cancellato.