Identificati dalle Fiamme gialle tre opifici gestiti da cinesi: sequestrati oltre 16.000 capi d’abbigliamento non conformi alle normative europee.
Pescara – Da un negozio al dettaglio del pescarese ai centri di stoccaggio merce disseminati tra Roma, Napoli e San Giuseppe Vesuviano, piccolo fazzoletto dell’immensa provincia partenopea. È triangolare la rotta della contraffazione ricostruita dalle Fiamme gialle pescaresi all’esito delle indagini condotte in materia di sicurezza prodotti e tutela del “Made in Italy”, nell’ambito del piano d’azione “STOP FAKE”.
Oltre 16mila i capi d’abbigliamento ritirati dalla vendita e sequestrati, perché privi di etichettatura conforme alla normativa del regolamento europeo e del codice del consumo. Violazioni per cui sono state irrogate sanzioni con massimali da 20 mila euro.
Le investigazioni, sulla scorta dell’esame della documentazione contabile rinvenuta, hanno portato i militari della Sezione mobile del Nucleo di polizia economico-finanziaria a risalire la filiera illecita della merce e scoprire così tre diversi opifici per grossisti gestiti da cinesi.
I responsabili, attivi sul mercato con ampi depositi e magazzini destinati all’esposizione per il commercio e la vendita di articoli non sicuri sul territorio nazionale, sono stati segnalati alle competenti Camere di commercio.
Il settore moda si conferma come tra i più colpiti dal business della contraffazione. Secondo l’ultimo rapporto Censis, l’abbigliamento sportivo, casual e intimo, e oltre 100.000 esemplari tra hand bag, pochette e zaini, rappresentano le principali tipologie di articoli sequestrati. La Cina è il principale luogo di origine dei pezzi. Dalla Via della Seta proverrebbe, inoltre, più del 60% della merce non sicura e potenzialmente tossica circolante nel sommerso nazionale. A Napoli, in particolare, sembrerebbe essere operativa una vasta filiera del falso per la produzione e la commercializzazione di capi di abbigliamento low cost lungo i corridoi adriatici e tirrenici della penisola.
Le quantità enormi di queste tipologie di prodotti accendono i riflettori sui traffici illeciti mondiali, dove l’“ipertrofia” della contraffazione ha ormai un attore assoluto: il crimine organizzato transnazionale.
Difatti, le organizzazioni criminali spesso sono attratte dalla produzione o distribuzione di merce contraffatta, attività scarsamente rischiose e, al contempo, altamente lucrative, per via dell’elevata domanda dipendente dalle notevoli differenze di prezzo tra gli originali e le loro copie. Un delta questo che, nella maggior parte dei casi, è dovuto ai livelli di tassazione, alla necessità da parte dei produttori legali di recuperare il capitale investito per lo sviluppo e la produzione dei propri prodotti, e, soprattutto, alla diversa qualità delle materie prime utilizzate e dunque del prodotto finale.
Questa “catena di montaggio illegale” si fonderebbe sullo stretto legame che unisce le organizzazioni criminali italiane a quelle cinesi, ma anche sul frequente utilizzo da parte della criminalità organizzata di un cosiddetto sistema di triangolazione appunto, per cui le merci provenienti dall’Oriente vengono immagazzinate e poi smerciate in momenti successivi nelle varie destinazioni, di norma ritenute più sicure perché permettono di mascherare l’origine delle merci traendo in inganno gli organi deputati ai controlli doganali.