Omicidio di camorra a Napoli, ucciso il figlio della cugina dei Sarno

Enrico Capozzi, 36 anni, falciato sotto casa a Ponticelli. Sull’agguato l’ombra lunga della guerra tra i clan per il predominio nel quartiere.

Napoli – Si allunga l’ombra della guerra tra clan sulla morte di Enrico Capozzi, il 36enne ucciso nel tardo pomeriggio di ieri al Parco Merola di Ponticelli, quartiere napoletano entrato in fibrillazione da quando ci hanno fatto ritorno i vecchi capoclan dei Sarno, gente che qui aveva governato il racket, prima di finire in carcere e in qualche caso collaborare con la giustizia. Perché nel quartiere adesso la legge la dettano i De Micco, che certo non hanno gradito il ritorno e soprattutto che questo abbia coinciso con il tentativo di riprendere a taglieggiare commercianti e piazze di spaccio.

Questione di territorio, logiche di sopraffazione camorristica, intrecci personali e parenti scomodi. In questo scenario quella di Capozzi sarebbe stata una morte annunciata, rappresenterebbe la vittima perfetta da far cadere per lanciare un messaggio forte e chiaro. Il 36enne non solo era il figlio di Carmela Sarno, parente degli ex boss del quartiere, ma nel 2023 aveva sporto denuncia contro Antonio Nocerino, affiliato al clan De Micco. L’agguato, quindi, avrebbe una duplice valenza, da un lato chiudere i conti con il passato, dall’altra ribadire la primazia dei De Micco. Si spiegherebbe così l’efferatezza dell’esecuzione: Capozzi, vedovo e padre di tre figli, è stato falciato da una raffica di colpi sotto casa sua. In quel quartiere dove i sicari hanno voluto scrivere con il piombo che non c’è più posto per i Sarno, vecchi o nuovi che siano.

Intanto è stata ridimensionata la notizia dell’assalto di alcune decine di parenti e conoscenti di Capozzi ai locali del pronto soccorso dell’ospedale del Mare, dove l’uomo è spirato. Secondo il direttore dell’Asl Napoli 1 Centro Ciro Verdoliva si sono registrati solo alcuni momenti di tensione dovuti alla gravità dell’accaduto, tenuti sotto controllo dalle forze dell’ordine presenti. Nessuna aggressione, insomma, al personale sanitario.

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