Secondo l’accusa era presente in fonderia la sera del delitto e avrebbe aiutato Giacomo Bozzoli, condannato all’ergastolo, a far sparire il corpo dello zio Mario.
Brescia – Dopo la rocambolesca fuga, e l’altrettanto clamorosa cattura di Giacomo Bozzoli, un nuovo capitolo giudiziario si aggiunge all’annoso iter processuale seguito all’omicidio dell’imprenditore Mario Bozzoli. La Procura di Brescia ha infatti chiesto il rinvio a giudizio con l’accusa di omicidio volontario in concorso, per Oscar Maggi, uno degli operai che la sera dell’8 ottobre 2015 si trovava nei pressi di uno dei forni della fonderia Bozzoli a Marcheno. In quel forno, secondo la ricostruzione accusatoria che ha portato alla condanna in via definitiva del nipote della vittima, Giacomo Bozzoli, è stato gettato Mario Bozzoli. Per i magistrati Maggi era presente in fonderia quella sera e avrebbe sbloccato l’impianto di areazione del forno andato in blocco dopo aver generato una fumata anomala.
In base alle ricostruzioni degli inquirenti Giacomo avrebbe aggredito lo zio vicino ai forni ma poi avrebbe affidato il “compito” di gettare il corpo nella fonderia a un dipendente dell’azienda, Giuseppe Ghirardini. Quest’ultimo svanirà poi nel nulla sei giorni dopo la scomparsa di Bozzoli. Il suo corpo senza vita verrà trovato il 18 ottobre 2015 nei boschi di Case di Viso, ucciso da una capsula di cianuro rinvenuta nello stomaco. Ghirardini nelle carte della Corte d’assise d’appello di Brescia viene indicato come l’unica di due persone che, oltre a Giacomo Bozzoli, gravitavano intorno al “ristretto ambito spaziale e temporale” dell’omicidio. E a casa sua furono trovati 5mila euro in contanti: potrebbero essere il compenso per la sua partecipazione alla distruzione del cadavere. L’altro nome fatto era appunto quello di Oscar Maggi.
Secondo i giudici dell’appello Giacomo Bozzoli è l’unica persona in cui “è risultato coesistere, unitamente all’odio ostinato e incontenibile (…) nei confronti della vittima, anche l’interesse economico per ucciderla riconducibile agli interessi societari e familiari”. Lo zio era “colpevole a suo avviso” di guadagnare dalla società di famiglia alle spalle degli altri componenti e di intralciare i suoi affari.