Due esperti virologi Usa scrivono al New York Times: “Misure di sicurezza insufficienti per il virus appena scoperto nei pipistrelli”.
Un team cinese di Wuhan ha identificato un nuovo coronavirus dei pipistrelli che, almeno in teoria, potrebbe trasmettersi dall’animale all’uomo proprio come è accaduto col SARS-CoV-2. Lo studio, pubblicato sulla rivista Cell, è stato guidato dalla ricercatrice cinese Shi Zhengli che da anni sta studiando i virus dei pipistrelli e che in passato ha lavorato anche presso il Wuhan Institute of Virology. Cosa significa questa nuova scoperta? Rischiamo una nuova pandemia? Ian Lipkin e Ralph Baric sono due docenti tra i massimi esperti di virus degli Usa, ha scritto una lettera al New York Times, dove senza mezzi termini dicono: “La recente ricerca sui virus dovrebbe allarmarci”. Il quotidiano americano l’ha pubblicata nella sezione delle opinioni.
“Non vogliamo suggerire che l’istituto sia responsabile per la pandemia del Covid, né che il nuovo virus possa provocare la prossima. Ciò che ci preoccupa – scrivono nero su bianco – sono le insufficienti misure di sicurezza che gli scienziati hanno preso quando hanno studiato questo coronavirus”. L’istituto di virologia di Wuhan ha laboratori di questo tipo, ma per studiare HKU5-CoV-2, aggiungono Lipkin e Baric, “non ha condotto gli esperimenti in un Bsl-3 o 4, bensì in un laboratorio Bsl-2 plus, una categoria che non è riconosciuta dai Centers for Disease Control and Prevention e crediamo sia insufficiente per un virus respiratorio potenzialmente pericoloso”. E infine una frase emblematica: “Ci preoccupa come alcuni scienziati conducano esperimenti sui virus in modi che potrebbero mettere in pericolo tutti noi”.
Nell’articolo della rivista Cell gli scienziati hanno segnalato la “scoperta e l’isolamento di un lignaggio distinto di HKU5-CoV che può utilizzare non solo l’ACE2 di pipistrello, ma anche l’ACE2 umano e vari ortologhi dell’ACE2 dei mammiferi”. I ricercatori hanno anche osservato che “i merbecovirus dei pipistrelli presentano un rischio elevato di diffusione agli esseri umani, sia tramite trasmissione diretta che tramite ospiti intermedi”.
La notizia ci riporta indietro con le lancette di 5 anni, quando in Italia fu registrato ufficialmente il primo caso di coronavirus all’ospedale di Codogno. Gli scienziati cinesi che hanno scoperto il nuovo coronavirus hanno sottolineato che è necessario un monitoraggio attento del virus, ma hanno comunque segnalato che la sua potenza è “significativamente inferiore” a quella del Covid-19 e “il rischio che l’Hku5-CoV-2 emerga nella popolazione umana non deve essere esagerato”. Era il 31 dicembre 2019 quando il Covid fece la sua comparsa sulla scena mondiale distruggendo vite e seminando terrore. Tutto è partito proprio dalla Cina, con una comunicazione all’Organizzazione mondiale della sanità sulla diffusione di un “cluster” di polmoniti atipiche di origine virale nella città di Wuhan, metropoli da 11 milioni di abitanti e capoluogo della provincia di Hubei.
Una comunicazione destinata a cambiare la storia, con una crisi sanitaria senza precedenti che ha invaso il mondo intero. Un incubo che ha imprigionato i cittadini di tutto il globo. Un’emergenza sanitaria durata oltre tre anni, fino al 5 maggio 2023, quando l’Oms ne ha dichiarato ufficialmente la fine. Solo di recente il professor Giorgio Parisi, premio Nobel per la Fisica, è tornato a parlare nel corso della sua audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione del Covid. “Abbiamo visto che il picco del numero dei morti è avvenuto a 20 giorni circa dal lockdown, come avvenuto in Cina. La chiusura del lockdown ha bloccato l’aumento del numero dei morti e l’ha contenuto”, ha riferito.
Il premio Nobel per la fisica nel 2021 ha poi sottolineato che durante la prima ondata di Covid-19 “puntare al raggiungimento dell’immunità di gregge senza misure di contenimento sarebbe potuto costare fino a 700mila morti in Italia. L’immunità di gregge è stata di fatto raggiunta nel bergamasco, dove si è infettata quasi tutta la popolazione con una mortalità dell’1%: la controprova ci viene dal fatto che ci sono stati pochissimi casi nella seconda ondata”, osserva Parisi. A livello nazionale “l’indagine sierologica fatta nell’estate del 2020 dimostra che circa il 5% della popolazione si è infettata, con 3 milioni di casi e 35.000 morti. Nel peggiore dei casi, se tutta la popolazione fosse stata infettata come nel bergamasco, avremmo avuto 600mila-700mila morti”.