Era una giornata primaverile quel 15 marzo del 2005 a Mezzolara di Budrio in provincia di Bologna quando, verso le 13.30, il ventisettenne Fabrizio Andalò prendeva la sua mountain bike azzurra e bianca per fare un giro, come spesso accadeva, fino ai colli bolognesi. Erano anche i giorni che precedevano un traguardo importante: Fabrizio aveva detto a parenti ed amici che il 21 marzo si sarebbe laureato. Ma il ragazzo non tornerà mai più a casa. Come se fosse stato misteriosamente inghiottito dalla campagna della bassa bolognese.
Quando si trovava a 7 chilometri da casa, poco dopo le 14, aveva ricevuto la telefonata dell’ amico Roberto, col quale si era messo d’accordo per andare a cenare insieme la sera stessa, invitandolo a passare da lui alle 19. A partire da quel momento esatto il cellulare di Fabrizio risulterà spento e, una volta giunto in casa l’amico per andare a cena, i genitori cominciavano ad allarmarsi.
Dalle indagini risulterà che il cellulare di Fabrizio, una volta uscito di casa, aveva agganciato una cella di Baricella. Un percorso inusuale verso la direzione opposta rispetto a quella di sempre. Gli inquirenti, inoltre, scopriranno a seguito di accertamenti, che lo studente non avrebbe potuto discutere la tesi di laurea il 21 marzo prossimo perché gli mancavano ancora degli esami per finire il suo percorso di studi. Quella bugia aveva forse spinto il giovane ad allontanarsi? Il senso di colpa verso le aspettative disattese dei familiari aveva provocato nel giovane una reazione sconsiderata?
A quindici anni dalla scomparsa, abbiamo chiesto a Cristina, sorella di Fabrizio, di fare un viaggio a ritroso nel tempo:
”…Fabrizio è sempre stato un ragazzo molto sensibile ed introverso – dice la donna – e’ sempre andato bene negli studi. Di ritorno dall’Erasmus in Francia, ad Avignone, qualcosa però era cambiato. Aveva confessato ai nostri genitori di avere avuto delle difficoltà con gli esami ma poi ci aveva annunciato che si sarebbe laureato il 21 marzo. I giorni precedenti alla scomparsa non aveva avuto atteggiamenti diversi dal solito. Era andato in Sala Borsa a Bologna a studiare, come sempre. Quel giorno, non vedendolo rientrare e dopo averlo cercato inutilmente al cellulare che era spento, abbiamo subito pensato che avesse avuto un incidente. Siamo andati a sporgere denuncia dai carabinieri che però, per prassi, hanno dovuto aspettare 48 ore dalla scomparsa prima di intervenire, anche perchè mio fratello era maggiorenne e, a loro dire, poteva trattarsi di allontanamento volontario. Mi sono anche arrabbiata col comandante per questa attesa ma non potevano fare altrimenti. In ogni caso, al di là delle indagini nei registri universitari, le ricerche sul territorio sono state davvero limitate. Nel frattempo noi familiari siamo andati anche ad Avignone e abbiamo parlato con l’ex fidanzata inglese di mio fratello che aveva conosciuto durante l’Erasmus ma non abbiamo trovato nessuna traccia. Abbiamo percorso tutte le piste possibili, creando anche il sito www.missingabrizio.com. In tutti questi anni abbiamo pensato di tutto ma non escludiamo che qualcuno possa averlo aiutato in questa sua presunta fuga. Fabrizio, essendo uno studente e avendo fatto qualche lavoretto saltuario, non era comunque autonomo economicamente. Potrebbe avergli dato una mano anche una persona conosciuta nei primi giorni della scomparsa…”.
“…Sono state numerose le segnalazioni di persone che lo avrebbero visto – aggiunge la sorella – ma la più attendibile rimane quella di un signore che conosceva mio fratello e che ha dichiarato di averlo visto, tre o quattro giorni dopo che si era allontanato, in piazza Aldrovandi, nel centro di Bologna. La riteniamo attendibile perché, inoltre, ci ha riferito che Fabrizio aveva gli occhi arrossati e quello era il periodo in cui lui soffriva di allergia stagionale. L’ultima segnalazione l’abbiamo ricevuta nel luglio del 2016, da parte di una ragazza convinta di avere visto mio fratello, con barba e capelli lunghi, alla stazione di Bologna. Dava l’impressione di aspettare un treno ma poi si sarebbe diretto verso il sottopassaggio. Ho visionato le telecamere della Polfer ma l’immagine di quell’uomo trasandato ripreso da lontano non mi hanno permesso di riconoscere mio fratello con sicurezza. Sembrava che non fosse un frequentatore abituale della stazione e, probabilmente, era di passaggio. Noi continuiamo ad aspettarlo a braccia aperte e, come abbiamo più volte ripetuto anche negli appelli in tv, tutto si può superare insieme, figuriamoci una laurea mancata. Forse più passa il tempo e più è difficile per lui ritornare sui suoi passi. Ci accontenteremmo di sapere solo che sta bene, anche senza venire a conoscenza del luogo in cui si trova. Viviamo tutti i giorni come sospesi, un’inquietudine senza tregua…”.
Dopo tutti questi anni di struggente e logorante attesa se qualcuno sa che parli. Sarebbe un atto doveroso nei confronti della famiglia Andalò, oltre che un dovere civico. Specie se qualcuno ha aiutato, o convinto, il ragazzo ad allontanarsi.