Una pagina di cronaca italiana che è rimasta irrisolta per più di vent’anni. L’omicidio, le indagini infinite, i retroscena mai chiariti e, alla fine come nei migliori film gialli, la confessione del maggiordomo.
Roma – La mattina del 10 luglio 1991, l’abitazione di Pietro Mattei ex amministratore delegato della Vianini e della contessa Alberica Filo della Torre, quarantaduenne appartenente alla nobiltà napoletana e dedita al supporto di opere benefiche, veniva addobbata per l’anniversario di nozze dei coniugi. Nella villa erano presenti i due figli, due domestiche filippine, la babysitter inglese e quattro operai, mentre il marito della contessa era al lavoro.
I preparativi per la festa della sera cominciarono tra le 7 e le 7.30 del mattino. La cameriera Alpaga portò la colazione alla contessa alle 7.45. La contessa scese al piano inferiore verso le 8.30 per poi rientrare in camera. Da quella camera, con la porta chiusa dall’interno, la nobildonna non uscirà viva. Verso le 9.15 la domestica e la piccola figlia Domitilla, bussano alla porta della stanza, ma nessuno risponde.
Verso le 10.30, le due donne bussano di nuovo alla porta e si collegano con il telefono interno ma dalla contessa nessuna risposta. La cameriera e Domitilla entrano nella stanza con la chiave di riserva e si trovano davanti uno spettacolo agghiacciante. La vittima è riversa sul pavimento, con le braccia aperte. La testa è avvolta in un lenzuolo insanguinato. Alberica è stata trucidata. Si ipotizza che la donna sia stata prima tramortita con un colpo alla testa inferto probabilmente con uno zoccolo, e che dopo sia stata strozzata. Dalla stanza sembrano mancare numerosi gioielli.
Gli inquirenti si concentrano inizialmente sul delitto passionale. L’assassino doveva essere qualcuno che la vittima conosceva e di cui si fidava. Qualcuno in grado di entrare nella villa e muoversi indisturbato, nonostante le persone presenti in casa tra cui anche i due figli della donna.
Roberto Jacono, figlio dell’insegnante privata dei bambini, giovane con problemi psichici, viene inquisito per alcune macchie di sangue rinvenute sui suoi pantaloni ma l’esame del Dna lo scagiona.
I sospetti si spostano allora su Manuel Winston Reyes, il cameriere filippino licenziato poco tempo prima. Anche lui verrà prosciolto dalle rudimentali analisi del DNA. Il marito della vittima viene subito escluso dai sospettati perché si trovava già in ufficio nell’ora dell’omicidio.
Le indagini si arenano ma nell’ottobre del 1993 l’inchiesta relativa ad una serie di fondi neri, nota come scandalo Sisde, riporta il delitto dell’Olgiata all’attenzione degli inquirenti. Diversi componenti dei servizi segreti sono accusati di aver aperto fondi privati utilizzando soldi riservati del Sisde. Tra questi c’è Michele Finocchi, un amico della famiglia Mattei – Filo della Torre. Il 7 gennaio 1994 i carabinieri del Ros arrestano il prefetto Gerardo De Pasquale, ex responsabile del reparto logistico del SISDE aprendo una vicenda giudiziaria che nel 2000 si concluderà con la condanna per sei alti funzionari del servizio segreto interno e confermerà l’estraneità ai fatti di Mattei.
Nel 1996 un nuovo procuratore aggiunto Italo Ormanni non ci vede chiaro sui conti bancari svizzeri della contessa Filo Della Torre e, tramite rogatorie finanziarie internazionali, cerca di venire a capo dell’intricato assetto delle sue finanze. Vengono alla luce ingenti trasferimenti di denaro dalla Svizzera e Lussemburgo. In seguito gli inquirenti accerteranno che non sussistono anomalie nei conti della contessa e del marito. Il delitto, che non ha nulla a che vedere con queste vicende, rimane irrisolto.
Nel gennaio 2007 il caso dell’uccisione della contessa viene riaperto a seguito di un’istanza del vedovo della vittima. Mattei chiede che vengano riesaminate alla luce delle nuove tecniche investigative, le tracce di Dna del lenzuolo che avvolgeva il capo della vittima e un orologio indossato dalla contessa. Le nuove analisi sono un buco nell’acqua e il PM Italo Ormanni nel 2008 chiede una nuova archiviazione.
Pietro Mattei si oppone all’archiviazione. Il GIP Cecilia Demma, accoglie l’istanza e l’anno seguente il nuovo PM Francesca Loy affida al Ris l’analisi genetica del materiale biologico reperito su lenzuolo e orologio. Stavolta vengono trovate le tracce biologiche di Manuel Winston Reyes il cameriere filippino licenziato. Grazie alla solerzia del PM Francesca Loy si scopre inoltre che le registrazioni delle telefonate di Reyes non sono mai state esaminate. Per vent’anni gli inquirenti di allora non avevano nemmeno ascoltato la registrazione dell’uomo che contattava un ricettatore per vendere i gioielli trafugati alla contessa. Una negligenza imperdonabile.
Il 29 marzo 2011 la prova del DNA sui due reperti accerta definitivamente la presenza di Manuel Winston Reyes sulla scena del crimine. Frammenti del suo DNA vengono ritrovati sul lenzuolo utilizzato per avvolgere il capo sanguinante della vittima. Il sospettato confessa il 1 aprile 2011. Nel decreto di fermo viene evidenziato che Reyes, pur avendo lavorato presso i Mattei per soli due mesi, aveva dato il nome Alberica alla figlia nata nel 1995. Reyes laureato in ingegneria navale e maggiordomo dai Mattei viene condannato a 16 anni di reclusione. Sul delitto dell’Olgiata, finalmente, si può scrivere la parola fine.
L’uomo, beneficiando di alcuni sconti di pena, è stato scarcerato il 10 ottobre 2021 sopo aver scontato soltanto 10 anni di carcere. Il nostro ordinamento andrebbe riveduto e corretto.