Luca Attanasio, a quattro anni dall’attentato la famiglia chiede ancora verità e giustizia

Anche Vittorio Iacovacci, 30 anni, carabiniere della scorta, morì proteggendo l’ambasciatore. Il padre Salvatore al Pirellone: “Sull’omicidio ancora troppi punti oscuri”.

“C’è un sentimento di speranza per la ricerca della verità, anche se sono passati più di quattro anni e ci sono tantissimi punti oscuri. Ma la fiducia è l’ultima a morire. Guai se non ci fosse fiducia”. Così Salvatore Attanasio, padre di Luca Attanasio, ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo ucciso il 21 febbraio 2021 in un attentato a Goma, ha aperto il suo intervento durante un incontro al Pirellone di Milano, organizzato dal capogruppo del Pd al Consiglio regionale della Lombardia, Pierfrancesco Majorino. A oltre quattro anni dalla tragedia, che costò la vita anche al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista congolese Mustapha Milambo, la famiglia continua a chiedere giustizia, mentre l’eredità morale di Luca rimane un faro per l’Italia.

L’attentato: una tragedia nella giungla del Nord Kivu

Era il mattino del 21 febbraio 2021 quando il convoglio del Programma Alimentare Mondiale (PAM), con a bordo Luca Attanasio, fu attaccato lungo la strada RN2, a circa 15 chilometri da Goma, vicino al Parco Nazionale del Virunga. L’ambasciatore, in viaggio verso Rutshuru per visitare un programma di alimentazione scolastica, si trovava su uno dei due veicoli della missione MONUSCO, privo di scorta armata nonostante l’instabilità della regione. Intorno alle 10:15, sei uomini armati di fucili e machete tesero un’imboscata: spararono per fermare il convoglio, uccisero subito Mustapha Milambo, l’autista congolese, e costrinsero Attanasio, Iacovacci e altri quattro passeggeri a scendere, dirigendosi nella boscaglia.

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Luca Attanasio (al centro); a sinistra il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo: tutti e tre morirono nell’attentato.

L’obiettivo, secondo le prime ricostruzioni, era un rapimento a scopo di riscatto. Ma l’intervento dei ranger del Virunga, allertati dagli spari, trasformò l’agguato in uno scontro a fuoco. Vittorio Iacovacci, 30 anni, carabiniere della scorta, morì proteggendo l’ambasciatore, mentre Attanasio, 43 anni, fu ferito gravemente all’addome. Trasportato all’ospedale MONUSCO di Goma, spirò poco dopo, intorno alle 10:50. Dei sei ostaggi, tre furono liberati e uno ferito lievemente. La zona, nel Nord Kivu, è un crocevia di gruppi armati e bande criminali, ma la strada era stata classificata come “sicura” dal PAM, un dettaglio che alimenta ancora oggi dubbi e polemiche.

Un’indagine tra ombre e impasse

Le indagini, condotte in parallelo da Congo e Italia, non hanno ancora chiarito molti aspetti. In Congo, nel 2022, due sospetti furono arrestati, ma la famiglia Attanasio dubita della loro reale responsabilità. In Italia, la Procura di Roma ha indagato due funzionari del PAM – Rocco Leone e Mansour Rwagaza – per omicidio colposo, accusandoli di aver trascurato la sicurezza. Tuttavia, l’immunità diplomatica concessa loro nel 2024 ha bloccato il processo. “Alcuni punti sono ancora oggetto di indagine nel secondo fascicolo della Procura, di cui non conosciamo i contenuti – ha spiegato Salvatore Attanasio al Pirellone –. Gli altri, noti nel primo atto, si sono conclusi con un nulla di fatto, rendendo impossibile proseguire il processo richiesto da Roma”. Tra i nodi irrisolti: chi informò gli assalitori? Perché mancava una scorta? E chi sparò i colpi fatali?

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Luca Attanasio

Un’eredità che perdura

Nonostante l’impasse giudiziaria, Salvatore Attanasio guarda al lascito del figlio: “Luca, a distanza di quattro anni, continua a seminare. Lo vediamo nelle manifestazioni di interesse della gente comune. Quello che rimane di lui è il suo testamento morale, i valori per cui ha lottato, gli stessi protetti dalla nostra Costituzione”. Diplomatico di carriera, ambasciatore a Kinshasa dal 2017, Luca era noto per il suo impegno umanitario – premiato nel 2020 con il Nassiriya per la Pace – e per il suo servizio svolto con “orgoglio, entusiasmo, coraggio e determinazione”. Lasciò la moglie Zakia Seddiki e tre figlie piccole.

“Luca era un uomo delle istituzioni, una persona che appartiene all’intera collettività – ha aggiunto il padre –. Come possiamo perdere fiducia? Ci auguriamo che l’incontro di oggi sia una spinta affinché le istituzioni intervengano senza riserve”. Un appello che si chiude con una richiesta semplice ma potente: “Abbiamo il diritto di conoscere la verità. Oggi Luca è considerato un uomo giusto. Io aggiungo, in attesa di giustizia”.

Un simbolo per l’Italia

L’incontro al Pirellone, voluto dal Pd regionale, testimonia l’impegno a non dimenticare. Le salme di Attanasio e Iacovacci, rimpatriate il 23 febbraio 2021, furono onorate con funerali di Stato a Roma due giorni dopo. Ma oltre il ricordo, resta la lotta della famiglia per risposte che tardano ad arrivare. In un Nord Kivu segnato da violenze croniche, la morte di tre uomini al servizio della pace ha sollevato grossi interrogativi sulla sicurezza dei diplomatici e sull’efficacia delle missioni internazionali. Quattro anni dopo, Luca Attanasio è un simbolo di dedizione e sacrificio, ma anche un monito: la verità è un diritto che non può attendere.

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