Soprusi e violenze nella “zona blu”, l’area del penitenziario dove gli occhi delle telecamere di sorveglianza non sempre arrivano.
Trapani – L’inchiesta che fa tremare il carcere della città siciliana e il mondo della giustizia vede sotto accusa 25 poliziotti penitenziari accusati a vario titolo e in concorso di tortura, abuso d’autorità contro detenuti del carcere Pietro Cerulli, e falso ideologico in concorso. Ieri sono stati raggiunti da misure cautelari e interdittive: 11 arresti domiciliari e 14 sospensioni dal pubblico ufficio. Emessi decreti di perquisizioni, per un totale di 46 indagati. Le indagini sono partite nel 2021 ma la storia è uscita fuori in queste ore. Nell’ordinanza del Gip di Trapani emergono particolari sempre più forti. Sedici ambienti 2 metri per 4 con una finestrella a 25 centimetri dal tetto. Mura scrostate, il wc a vista.
La cella numero 5 la chiamavano la “stanza liscia”, era quella senza suppellettili, destinata a chi si temeva potesse compiere gesti autolesionisti. E’ la zona blu, la sezione isolamento del carcere di Trapani, dove gli occhi delle telecamere di sorveglianza non sempre arrivano: è lì che per anni, secondo la Procura, un gruppo di agenti penitenziari ha torturato, umiliato, picchiato i detenuti più problematici, persone con problemi psichici, extracomunitari… soggetti fragili insomma. Gli inquirenti, che parlano di “trattamento inumano e contrario alla dignità delle persone”, hanno chiesto e ottenuto i domiciliari per 11 guardie carcerarie e la misura interdittiva per altre 14. Che la “zona blu” fosse l’inferno dell’istituto di pena trapanese si sa da tempo: lo hanno denunciato i detenuti, l’hanno messo nero su bianco le associazioni.
Un episodio scioccante di presunta tortura emerge dall’inchiesta. Un detenuto marocchino, già vulnerabile per la sua condizione di reclusione, sarebbe stato denudato nell’ufficio della sezione isolamento, davanti a una decina di agenti penitenziari. Dopo essere stato sottoposto a scherni umilianti sulle dimensioni dei suoi genitali, sarebbe stato costretto a percorrere completamente nudo il corridoio della sezione Blu, uno spazio già tristemente noto per abusi e maltrattamenti. L’episodio, secondo quanto riportato nel decreto di perquisizione, configura un trattamento inumano e degradante che avrebbe provocato un “verificabile trauma psichico” alla vittima.
Questo caso è solo uno dei tanti che hanno fatto emergere una realtà inquietante all’interno del penitenziario siciliano. La Camera Penale di Trapani ha espresso pubblicamente la propria preoccupazione, sottolineando le gravi condizioni del sistema penitenziario italiano e l’urgenza di riforme strutturali. In un comunicato, il direttivo denuncia la situazione: “Gli istituti penitenziari italiani, e il carcere Pietro Cerulli in particolare, versano in condizioni gravissime, tra sovraffollamento e una cronica carenza di personale. Questi fattori compromettono non solo la gestione della sicurezza, ma anche il rispetto delle condizioni minime di dignità per detenuti e operatori”.
Queste denunce erano generiche fino a quando, il 17 settembre 2012, un carcerato fa un esposto, raccontando di essere stato punito, dopo una protesta, portato nella sezione isolamento e aggredito a calci, pugni e sputi. E’ sempre lui a riferire di aver sentito un altro detenuto, nella cella accanto, urlare. Comincia così l’indagine coordinata dalla Procura di Trapani, che ha svelato aggressioni, umiliazioni, perquisizioni illegali che per anni hanno visto protagoniste un gruppo di guardie e vittime i detenuti. Carcerati fatti denudare e costretti a camminare senza vestiti lungo i corridoi, sbeffeggiati con commenti sui genitali, percosse, lanci di acqua e urina nelle celle. Un racconto drammatico quello venuto fuori dall’inchiesta. Per anni le videocamere piazzate dai pm hanno ripreso gli abusi.
Le intercettazioni hanno fatto il resto. “L’avrei massacrato compà, come ho fatto con gli altri” dice uno degli agenti arrestati ascoltato dalle cimici dopo l’aggressione a un collega da parte di un detenuto. “Le secchiate d’acqua…fa caldo, un piacere gli facciamo”, commenta un altro. Tra le immagini più dure quella di un extracomunitario nudo nei corridoi e di un altro carcerato perquisito con le braccia bloccate dietro la schiena. A una delle vittime sarebbe stata data anche una sigaretta con del calmante. Ovviamente nelle relazioni di servizio delle violenze non c’era una riga: perché gli agenti fornivano ai superiori versioni, false, del tutto autoassolutorie in cui si sottolineavano solo le condotte violente dei carcerati. Gli agenti ce l’avevano anche con i medici della casa circondariale.
Uno degli arrestati, poi, proponeva la creazione di una “squadretta” di 6 persone. “Appena succede qualcosa saliamo nel reparto”…minacciava. “Ci butto un secchio d’acqua? E’ pisciazza immischiata con acqua”, spiegava uno degli agenti. L’urina veniva lanciata nelle celle dopo aver tolto la corrente per cogliere di sorpresa i carcerati. Le vittime hanno confermato tutto. E gli inquirenti le hanno ritenute credibili. “Le persone offese manifestano un atteggiamento di apprezzabile equilibrio e non hanno risentimenti”, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare. “Il reato di tortura ha rotto il muro di omertà”, afferma il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella. “Quanto emerso in queste ore relativamente a quello che è accaduto nel carcere di Trapani, dove 46 persone sono indagate per vari reati, tra cui quello di tortura, segnala ancora una volta quanto questo reato sia fondamentale, per diverse ragioni”.
“Da una parte per perseguire i responsabili di questo crimine. Dall’altra, nel far sentire il supporto dello Stato alle persone che subiscono torture o violenze in carcere che oggi, molto più di prima, tendono a denunciare questi episodi. Per ultimo, anche per rompere il muro di omertà che troppo spesso in casi simili si creava in passato. Come già accaduto in altri casi – aggiunge – l’indagine, scattata dopo alcune denunce effettuate dalle persone detenute, è stata condotta dal nucleo investigativo della Polizia penitenziaria, nel caso specifico quello regionale di Palermo, coordinato dal nucleo investigativo centrale. Ora ci auguriamo che si faccia piena chiarezza su quanto accaduto, riconoscendo in sede di indagini e processuale le eventuali responsabilità”.