La sentenza del Tribunale del Lavoro di Milano ha aperto un nuovo dibattito sulla tutela e sui diritti di chi lavora da remoto.
Milano – Una sentenza del Tribunale del Lavoro meneghino apre un importante dibattito sulla tutela dei lavoratori in smart working e potrebbe fungere da precedente giurisprudenziale. I giudici hanno condannato l’Inail a risarcire con 10mila euro una donna che era caduta per strada e si era fatta male accompagnando la figlia a scuola. Tutto questo durante lo smart working. L’Inail aveva sostenuto di non doverle versare un euro perché la funzionaria dell’Agenzia delle Dogane, che lavorava da casa per la pandemia, aveva chiesto e ottenuto un permesso per ritirare la bambina di sette anni intorno alle 12 all’uscita dalla scuola che distava circa un chilometro e mezzo a piedi dall’abitazione.
Per l’Inail non era un infortunio per rischio lavorativo ma per il verificarsi di un “rischio generico incombente su tutti i cittadini e comune ad altre situazioni del vivere quotidiano”. I fatti erano accaduti il 23 settembre 2020, quando la donna, approfittando di un permesso per ritirare la figlia di sette anni, si è recata a piedi all’uscita della scuola, distante circa un chilometro e mezzo dalla sua abitazione. Durante il tragitto, ha subito una caduta che le ha provocato un infortunio alla caviglia, con conseguenze che hanno portato a una “menomazione permanente”. La richiesta di risarcimento, pari a 71mila euro, è stata motivata dall’inabilità temporanea e dalle spese mediche sostenute.
La giudice del lavoro le ha riconosciuto poco più di 10mila euro sottolineando che “il lavoratore è tutelato tutte le volte che si allontani dall’azienda e vi faccia ritorno in occasione della sospensione dell’attività lavorativa dovuta a pause, riposi e permessi” e che la sospensione dell’attività lavorativa non dipende da scelte voluttuarie del dipendente ma è di volta in volta giustificata da ragioni connesse all’esercizio dei diritti personali del lavoratore che altrimenti verrebbero sacrificati”.