All’epoca dei fatti le investigazioni non vennero approfondite e per Chiara Bolognesi si parlò di suicidio. Per il caso Golinucci il maggiore sospettato era stato un giovane ghanese poi uscito di scena forse troppo presto. E i frati del convento? Davvero nessuno di loro sapeva nulla? Ma c’erano anche altre persone impelagate nei due omicidi, infatti la nuova inchiesta segue una pista diversa.
Cesena – Cristina Golinucci e Chiara Bolognesi ammazzate dalla medesima mano assassina? Ne è convinta la Procura di Forli che ha riaperto, dopo trent’anni, i due cosiddetti “cold-case”, ovvero casi freddi, insoluti, entrambi archiviati forse un po’ troppo frettolosamente.
La prima ragazza, di 21 anni, analista contabile, sparisce nel nulla il 1 settembre del 1992 nel parcheggio dei Frati Cappuccini di Cesena dove, probabilmente, l’aspettava il suo assassino. La ragazza non entrò mai nel cenobio dunque è probabile che venne rapita nel parcheggio e trasportata altrove. La seconda giovanetta, appena diciottenne, scompare come un fantasma a poche centinaia di metri più a valle del parcheggio attiguo al convento, in località Ponte Abbadesse.
Solo il cadavere di Chiara venne ritrovato, un mese dopo, nelle acque in piena del fiume Savio. Gli investigatori dell’epoca pensarono subito al suicidio e rimasero infatti di quell’avviso per lungo tempo. Le due ragazze non si conoscevano nonostante avessero frequentato la stessa scuola: l’istituto tecnico commerciale di Cesena. Entrambe erano anche molto attive nel volontariato ed in iniziative di solidarietà sociale. Tutte e due erano giovani solari, generose e senza grilli per la testa.
Il loro killer, però, le conosceva bene e più di qualcuno lo avrebbe coperto, per non dire favorito anche nella sua fuga all’estero, verosimilmente nel suo paese d’origine: il Ghana. Dunque che cosa era andata a fare la brava Cristina nel convento francescano? La ragazza avrebbe dovuto incontrare fra’ Lino Ruscelli, suo confessore. I due si sarebbero messi d’accordo per vedersi alle 14.30 per organizzare un campo scuola. Ma non vedendola arrivare, per come lo stesso sacerdote aveva riferito agli inquirenti, alle 15 padre Lino si occupava d’altro evidenziando che della giovane si erano perdute le tracce.
Il giorno dopo, parenti e amici di Cristina, da Ronta di Cesena si erano recati al convento e nel parcheggio attiguo scoprirono la 500 azzurra di Cristina, regolarmente parcheggiata e chiusa. Come mai il sacerdote non ne aveva fatto menzione? Eppure l’auto era a vista del convento dunque possibile che nessuno dei frati se ne fosse accorto? Tre anni dopo, durante la trasmissione Chi l’ha Visto, una ragazza rimasta ignota telefonava al centralino e raccontava di una violenza sessuale subìta da un uomo di colore nella medesima zona dove era scomparsa Cristina Golinucci.
Accusato di stupro veniva arrestato Emanuel Boke, 30 anni all’epoca dei fatti, ghanese, ospite da oltre 3 anni della struttura conventuale assieme ad altri ragazzi con gravi problemi sociali. Dell’uomo si saprà l’esistenza soltanto due anni dopo la sparizione di Cristina quando verrà arrestato e condannato a 7 anni di carcere per violenza sessuale. Prima del fermo l’uomo aveva molestato un’altra giovane e anche in questo caso si era beccata una condanna. E qui accade un fatto per lo meno surreale: durante la detenzione di Boke padre Lino chiede il permesso per un colloquio con il giovane.
Gli investigatori chiedono al Gip l’autorizzazione all’intercettazione attesa l’importanza di quel colloquio ai fini dell’inchiesta. Il giudice nega il provvedimento. Un anno dopo padre Lino riferirà ai carabinieri di quell’incontro in parlatorio con Boke durante il quale il ghanese ammetteva l’omicidio dunque la sparizione di Cristina. Solo allora il Gip autorizzava le microspie ambientali ma ormai era troppo tardi: don Lino tornerà in carcere e rifarà la stessa domanda a Boke che, stavolta, negherà tutto e ritratterà la precedente versione dei fatti. Il cittadino sudafricano, dopo aver scontato l’ultima condanna per molestie sessuali, farà perdere le proprie tracce.
Con molta probabilità sarà ritornato nel suo Paese oppure potrebbe vivere ancora in Italia sotto falso nome o ancora risiedere in uno degli Stati europei. Fatto sta che, adesso, sarà assai difficile rintracciarlo. Ma Boke c’entra davvero con la sparizione della Golinucci e con l’uccisione della Bolognesi?:”
Mi auguro che il Signore se la sia portata via subito – ha detto Marisa Degli Angeli, mamma di Cristina – senza che abbia sofferto da qualche parte, presa, rinchiusa…Ci terrei, prima di morire, di portare i resti di mia figlia insieme al suo papà. Se devo pensare che è stata torturata prima di morire per me l’agonia continua”.
I particolari che legano i due casi sono diversi e precisi dunque le indagini proseguono e non sono escluse novità a breve. L’assassino “seriale” potrebbe essere un secondo soggetto, solo “sfiorato” nelle precedenti investigazioni per altro lacunose e per nulla approfondite:
“Questo è un caso che seguo da un anno e mezzo – dice l’avvocato Barbara Iannuccelli – La prima impressione che ho avuto, avendo in mano il fascicolo è che mancassero dei pezzi e allora il primo lavoro di investigazione è stato quello di analizzare quei buchi. Quella che stiamo seguendo è una pista del tutto nuova, non ha niente a che fare con Boke e le questioni legate alla sua persona. Non credo che con la riesumazione di Chiara Bolognesi avremo delle risposte importanti, ma sono convinta che la mano di chi l’ha uccisa sia la stessa di chi ha ucciso Cristina“.