La norma sull’abolizione dell’abuso d’ufficio sotto la lente della Corte Costituzionale

Il tribunale di Firenze ha affidato al giudizio della Consulta la questione di legittimità costituzionale della norma che lo ha eliminato.

Roma – L’abolizione dell’abuso d’ufficio fa ancora discutere, e forse sarà per molto al centro di querelle politiche e giudiziarie. Il tribunale di Firenze ha affidato al giudizio della Consulta la questione di legittimità costituzionale della norma che ha portato a eliminarlo. La questione è sorta nel corso del procedimento a carico dell’ex procuratore aggiunto di Perugia, Antonella Duchini, a giudizio, assieme ad altre otto persone per vari reati, tra cui l’abuso d’ufficio, ed è stata sollevata dall’avvocato Manlio Morcella, legale di parte civile.

Il tribunale ha ritenuto “non manifestamente infondata” la questione di legittimità costituzionale sollevata dall’avvocato Morcella e il processo è stato quindi sospeso in attesa della decisione della Consulta. Il legale ha sostenuto in particolare la violazione dell’articolo 19 della Convenzione di Merida e 31 di quella di Vienna sul diritto dei trattati, in relazione agli articoli 11 e 117 della Costituzione.

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La Corte Costituzionale

Prima della pausa estiva, la Camera dei deputati aveva approvato in via definitiva il ddl Nordio con 199 voti a favore, 102 voti contrari e nessun astenuto. Il disegno di legge va ad apportare modifiche sostanziali all’ordinamento giudiziario. Giorni prima era stata approvata la cancellazione dell’abuso di ufficio, definito dal Guardasigilli un “reato evanescente, che serve soltanto a intimidire i pubblici amministratori. Su circa 5 mila procedimenti pendenti in un anno le condanne si contano sulle dita di una mano, peraltro condanne collegate con reati connessi”. La cancellazione dell’articolo 323 del codice penale, relativo all’abuso di ufficio è stata al centro delle riforme del governo.

Il ministro aveva rivendicato la scelta di eliminare l’abuso d’ufficio: “La situazione era diventata intollerabile, vi erano migliaia e migliaia di indagini nei confronti di sindaci e pubblici amministratori che per anni sono rimasti sotto la tagliola giudiziaria, sono stati addirittura costretti alle dimissioni e poi assolti o addirittura archiviati”. E sulle critiche avanzate anche da parte dell‘Associazione nazionale magistrati aveva osservato: “L’Anm dovrebbe domandarsi allora perché non prendere in considerazione la professionalità dei magistrati che hanno tenuto sotto pressing 5mila e passa sindaci e amministratori, hanno rovinato la loro carriera politica, personale, finanziaria per poi sentirsi dire che hanno sbagliato”.

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