Al Pacino disse: “Le gambe… non importa che siano colonne greche o gambe di pianoforte, l’importante è quello che c’è in mezzo: il passaporto per il Paradiso.”
Perché questo titolo? Perché dea?
Partiamo dalle evidenze: esistono molti aforismi che raccontano, senza mezzi termini, lo straordinario potere che quella parte nascosta del corpo femminile esercita sulle decisioni del “maschio”.
Il più delle volte è innegabile!
Al Pacino disse: “Le gambe: non importa che siano colonne greche o gambe di pianoforte, l’importante è quello che c’è in mezzo: il passaporto per il Paradiso.” E Honoré de Balzac si espresse così: “Ogni donna la sua fortuna ce l’ha fra le gambe.”
Modi di dire sessisti? Non speculiamo! Acidi, graffianti, mordaci? Probabile! Forse come suggerì l’attivista femminile Valerie Solanas “ gli uomini hanno un arcano livore verso l’organo che dona la vita.” E io aggiungerei che non si tratta solo di invidia ma anche di timore, riverenza e, a volte, perfino, profonda atavica paura.
Mi spiegherò meglio ricorrendo, come sempre, al passato .
Esisteva nella Grecia antica una divinità femminile o entità magica di nome Baubo. Di lei poco è dato sapere se non che, nelle più antiche tradizioni indoeuropee e dunque addirittura risalenti al Neolitico, veniva rappresentata senza testa, poiché pare parlasse attraverso la vagina.
E ancora, l’antica religione celtica e pre-celtica celebrava il culto della dea Sheela- na- Gig, rappresentata con l’aspetto di una rana che tiene ben aperta con le mani una vulva straordinariamente grande. Il significato simbolico di questa rappresentazione è da ricercare nell’importanza attribuita alla fertilità, al miracolo del parto e al valore dell’elemento femminile all’interno di quell’antica quanto evoluta civiltà. Tale culto, ben radicato, sopravvisse anche dopo l’avvento del Cristianesimo tanto che, soprattutto in Irlanda, numerose sono le rappresentazioni di Sheela-na-Gig nei castelli e nelle chiese.
Forse la sua immagine, quasi grottesca ci farà sorridere più che tremare, ma la storia tutta Maori che sto per raccontare chiarirà le idee su quanto davvero l’uomo, da sempre, subisca il fascino e il potere dell’essenza femminile.
L’eroe più famoso della cultura polinesiana era Maui, un omone pieno di sé e gran burlone, che più di una volta nella sua carriera leggendaria si fece beffe di dei e antenati uscendone sempre indenne. Il mito della sua morte, come ovvio, dunque, riguarda l’ultima impresa da lui tentata, la più importante, quella che in caso di esito positivo avrebbe portato il genere umano alla conquista dell’immortalità. Maui si preparò a sfidare niente di meno che la dea della morte in persona. Un duello? Una prova di forza? Un confronto vis-à-vis? Certo che no.
L’eroe era forte, ma non stupido e il suo terrore verso Hine-nui-te-Po, tale il nome della dea, era tangibile. La possente divinità giaceva sdraiata in un sonno profondo: il suo corpo era quello di una donna grandissima, i suoi capelli erano alghe e i suoi fianchi montagne.
Poiché secondo la tradizione maori, quando un uomo va incontro alla sua morte viene divorato dalle fauci della dea, Maui pensò che per sconfiggerla avrebbe dovuto aggirarla con una sorta di percorso alternativo, entrando per altra via nel corpo della titanide e, in seguito, uscirne trionfante dalla bocca.
L’entrata? Sarebbe stata proprio in mezzo alle sue cosce: dalla vagina, attraverso il grembo, lungo tutto il suo corpo verso la salvezza. Un rapido spoiler: nessuno di noi è immortale e Maui fallì l’impresa. Prima che potesse liberarsi dal tunnel Hine-nui-te-Po si svegliò e lo uccise stritolandolo nella sua enorme eterna vagina. Questa è una chiara testimonianza di un’adorazione verso la porta che dona la vita e la paura che incute all’avvicinarsi della morte.
Essere inglobato, avvolto, inghiottito… Ancora oggi l’uomo non sa spiegarsi l’attrazione profonda per la fessura femminile e ancor meno il suo latente, nascosto timore per quell’organo affascinante e misterioso.
Prima di salutarvi, un grazie particolare va al signor Sigmund Freud che, nel suo studio sui complessi umani di fine ‘800, fu il primo a nominare la vorace e sinistra “vagina dentata” spingendo ancora di più la fantasia maschile a immaginare possibili scenari terrificanti legati alla potenza incontrastata di quel simbolo femminile.
Uomini, non abbiate paura… abbiate sempre, solo rispetto!