Ilaria Salis, un comitato chiede la liberazione dell’antifascista in carcere in Ungheria

L’anarchica milanese è in carcere di massima sicurezza dal febbraio 2023 per aver aggredito due neonazisti durante una manifestazione. Secondo legali e familiari è detenuta in condizioni disumane.

Milano – In carcere da 10 mesi nel carcere di massima sicurezza di Budapest, in Ungheria, in “condizioni disumane”. La sua colpa? Aver aggredito due neonazisti l’11 febbraio 2023 durante il “Giorno dell’onore”, manifestazione a cui partecipano i nostalgici del regime nazista. Rischia una pena fino a 16 anni l’anarchica milanese llaria Salis, imputata per lesioni procurate “guarite in pochi giorni: una punizione decisamente più alta rispetto a quanto previsto dalla legge italiana. La prima udienza del processo, che si annuncia “politico”, sarà il 29 gennaio.

In vista della data, da qualche settimana è nato il comitato Liberiamo Ilaria Salis, che chiede che l’imputata venga rilasciata dal carcere ungherese e che possa scontare i domiciliari in Italia, come previsto da una direttiva europea. Il 10 gennaio si è tenuta una conferenza stampa in Senato per chiederne la liberazione: erano presenti anche il senatore Lomuti e la senatrice Cucchi, che ha già presentato un’interrogazione parlamentare.

Secondo il legale e la famiglia, Ilaria sarebbe detenuta in “condizioni disumane” e per i primi sei mesi le sono stati negati i contatti con i genitori. Soltanto nel settembre scorso i familiari hanno cominciato a comunicare con lei e per due volte l’hanno visitata in carcere trovandola “molto provata”.

Un mese fa, a dicembre, il padre Roberto Salis aveva lanciato un appello: “Ci auguriamo che ci sia un’azione da parte del nostro governo e dei nostri canali diplomatici”. E ha scritto una lettera alla premier Giorgia Meloni, ai ministri Antonio Tajani e Carlo Nordio e ai presidenti di Camera e Senato per invocare un intervento dell’esecutivo anche di fronte alle “violazioni di diritti umani” che sta subendo la figlia. La famiglia e i legali si erano già altre volte appellate al Governo, ma sempre senza risposta.

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