Il “Castello delle cerimonie” deve pagare un canone di occupazione per restare aperto

L’hotel La Sonrisa rischia l’abbattimento. I Polese: “Ingiusto, preoccupati per i dipendenti. Valutiamo ricorso alla Corte di Strasburgo”.

Napoli – L’hotel La Sonrisa, divenuto noto come “Il Castello delle cerimonie” per lo show sui matrimoni trasmesso su Real Time, per restare aperto dovrà pagare un canone di occupazione al Comune di Sant’Antonio Abate che ne è diventato proprietario. A partire dal 15 febbraio, giorno in cui la sentenza della Cassazione ha sancito il passaggio a titolo gratuito della struttura ricettiva all’Ente. Secondo quanto si apprende, il canone è stato calcolato dall’Ufficio Tecnico tramite le tabelle dell’Osservatorio sul mercato immobiliare (Omi).

Nel frattempo, nei prossimi mesi saranno effettuate alcune perizie per stabilire l’impatto ambientale, paesaggistico, urbanistico ed idrogeologico delle strutture abusive, con conseguente stima del valore. Solo successivamente il nuovo Consiglio Comunale (ci sono le elezioni a breve) deciderà se demolire le strutture, oppure se sanare le strutture ed acquisire a patrimonio dell’Ente e poi deciderne una destinazione. Tutti ciò è stato comunicato anche nel corso dell’ultima seduta di consiglio comunale dalla sindaca Ilaria Abagnale.

Hotel La Sonrisa

Se la famiglia Polese, ex proprietaria della Sonrisa, pagherà, “il Castello delle Cerimonie” resterà aperto ancora qualche mese. Dopo però la struttura per feste di matrimonio potrebbe anche essere demolita. La struttura sarebbe per buona parte abusiva dopo la sentenza della Cassazione, con la confisca diventata ormai esecutiva da febbraio. La vicenda giudiziaria che coinvolge la struttura è iniziata nel 2011: con una serie di abusi edilizi realizzati, secondo le indagini, a partire dal 1979, su un’area di oltre 40mila metri quadri. Gli immobili e i terreni su cui sorge il Castello saranno acquisiti nel patrimonio immobiliare del Comune di Sant’Antonio Abate.

Con la sentenza del tribunale di Torre Annunziata (Napoli), emessa nel 2016, fu condannata a un anno di reclusione (pena sospesa) Rita Greco, defunta moglie del “Boss delle Cerimonie” Tobia Antonio Polese, e per Agostino Polese, suo fratello, al tempo amministratore della società. La sentenza di primo grado venne riformata in parte dalla Corte d’Appello di Napoli, sentenza ora passata in giudicato con il pronunciamento della Cassazione. Quello che però preoccupa di più è il destino dei lavoratori del Castello, che rappresenta per il paese di Sant’Antonio Abate un importante fonte di reddito e di occupazione.

Tra stagionali e fissi si parla di circa un centinaio di persone, 40 i dipendenti stabili mentre sono 70 quelli reclutati per i grandi eventi. Per non parlare di fotografi, wedding planner e tutti i settori lavorativi correlati alle cerimonie che si svolgevano al Castello. Ora che finirà nelle mani del Comune per Il Castello delle Cerimonie si aprono due soluzioni: o sarà totalmente demolito o potrà esser utilizzato solo a scopi di pubblica utilità. Nulla a che fare con il giro d’affari di prima. Il sindaco di Sant’Antonio Abate, Ilaria Abagnale aveva dichiarato: “È un verdetto inatteso che ci colpisce molto, poiché si tratta di una struttura ricettiva importante per il nostro territorio, inserita nell’economia e nel tessuto di Sant’Antonio Abate, punto di riferimento per tutta l’area e che da anni offre lavoro a centinaia di famiglie, non solo abatesi”.

Rita Greco con la figlia Imma

I Polese non si arrendono: “Riteniamo di aver subito un’ingiustizia, che forse la Cassazione non ha neanche letto le carte e che sia stata fatta una valutazione a senso unico. Stiamo considerando con gli avvocati cos’altro fare, credo che ci appelleremo alla Corte di Strasburgo, per essere valutati da una Corte imparziale. Siamo tutti avviliti, insieme alle nostre circa 300 famiglie che lavorano con noi tra diretto e indotto. Pensavamo che la giustizia fosse diversa, che con i reati finiti in prescrizione non si procedesse in questo modo, non ce l’aspettavamo questa decisione”.

Ciro Polese, uno dei soci e proprietari è preoccupato per i lavoratori. “Ora non so cosa accadrà. Al momento stiamo continuando a lavorare perché il Tribunale ci ha affidato l’azienda, proprio per non mandare a casa i lavoratori. Speriamo che anche il Comune possa farlo. O che in futuro si occupino della struttura una o più associazioni, che non mandino a casa i nostri dipendenti. Noi – conclude – continueremo la nostra battaglia”.

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