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Il caso Pandetta: quando la giustizia si scontra con il diritto alla salute

Un settantenne gravemente malato finito dietro le sbarre, nonostante le sue condizioni fisiche siano incompatibili con la carcerazione.

Catania – La vicenda di Salvatore Antonio Pandetta, nato a Catania il 3 marzo 1954, rappresenta un caso emblematico del conflitto tra esecuzione penale e tutela della salute che attraversa il sistema giudiziario italiano. Il settantenne, detenuto presso la Casa Circondariale di Caltagirone, è al centro di una battaglia legale che vede contrapposti i principi costituzionali del diritto alla salute e l’esecuzione della pena.

Dal taxi abusivo al carcere: una condanna che fa discutere

Antonio Pandetta è stato condannato definitivamente a 3 anni e 8 mesi di reclusione per associazione finalizzata all’immigrazione clandestina. La sentenza del 23 maggio 2024, pronunciata dalla Corte d’Assise d’Appello e confermata dalla Corte Suprema di Cassazione il 18 dicembre 2024, ha segnato l’inizio di un calvario giudiziario per l’anziano catanese.

L’avvocato Giuseppe Lipera

Secondo la difesa, rappresentata dall’avvocato Giuseppe Lipera, Pandetta sarebbe stato “estraneo alla predetta associazione poiché faceva semplicemente il tassista abusivo dentro la città di Catania”. Una precisazione che sottolinea la marginalità del ruolo attribuito all’imputato nel contesto criminale contestato.

L’arresto in ospedale

Il caso assume contorni drammatici se si considera che l’arresto di Pandetta è avvenuto il 24 febbraio 2025 direttamente presso il nosocomio A.R.N.A.S. “Garibaldi” di Catania, dove era ricoverato nel reparto di neurologia. I Carabinieri si sono presentati in ospedale per notificargli l’ordine di esecuzione e condurlo in carcere, interrompendo così le cure mediche in corso.

Il ricovero, durato 14 giorni di cui 8 nel reparto di neurologia, aveva fatto emergere un quadro clinico “alquanto compromesso”. I medici avevano diagnosticato al paziente una “trombosi cerebrale con infarto cerebrale” e demenza senile, con dimissioni avvenute proprio il giorno dell’arresto con diagnosi di “ischemia cerebrale a sede paratrigonale destra in paziente con vasculopatia cerebrale su base ipertensiva”.

Il deterioramento delle condizioni di salute

Dal momento dell’ingresso in carcere, le condizioni di Pandetta si sono progressivamente aggravate. Alle patologie preesistenti – ipertensione arteriosa, problemi alla prostata, diabete – si sono aggiunte difficoltà motorie, costanti dolori alle ginocchia, vuoti di memoria e disorientamento. Particolarmente significativa appare la perdita di peso: circa 20 chilogrammi, con un passaggio dalla taglia 54 alla 48.

Il 17 aprile 2025, il medico legale Pietro Piccirillo, dopo aver visitato il detenuto presso il carcere di Caltagirone, ha redatto un parere che definisce il quadro clinico come incompatibile con la detenzione carceraria. Secondo l’esperto, “la condizione restrittiva in carcere non può essere considerata come un luogo adatto alle sue cure” e la permanenza in carcere espone Pandetta “a un concreto rischio di accidenti cerebrovascolari acuti e quindi di rischio quoad vitam”.

suicidio in carcere
Condizioni incompatibili con la carcerazione

Il rigetto del Tribunale di Sorveglianza: una decisione controversa

Nonostante la documentazione medica e il parere del consulente tecnico, il 4 giugno scorso, il Tribunale di Sorveglianza di Catania ha respinto la richiesta di differimento pena nelle forme della detenzione domiciliare per gravi motivi di salute.

La decisione appare tanto più controversa se si considera che, durante l’udienza del 7 maggio 2025, lo stesso Tribunale aveva ritenuto necessario un approfondimento istruttorio, chiedendo all’ASP competente di esprimersi sulla compatibilità del detenuto con il regime carcerario. Tuttavia, il referente sanitario dell’ASP, nella sua relazione del 2 aprile 2025, si era limitato a rimandare “al Consulente d’ufficio nominato dal Giudice” per il giudizio di compatibilità.

Le contraddizioni del sistema

Il caso Pandetta mette in luce alcune criticità del sistema giudiziario italiano. Come sottolineato dalla difesa, emerge una contraddizione procedurale significativa: mentre per le misure cautelari in caso di gravi motivi di salute il giudice nomina regolarmente un consulente tecnico d’ufficio, nei procedimenti di sorveglianza per il differimento pena questo non sempre avviene.

La decisione del 4 giugno 2025 è stata presa con la stessa documentazione presente agli atti dell’udienza del 7 maggio, che però in precedenza era stata ritenuta insufficiente per decidere. Una contraddizione che, secondo la difesa, rende l’ordinanza “illogica e contraddittoria”.

La violazione dei principi della Costituzione

Al centro della vicenda si pongono questioni di rilevanza costituzionale. L’articolo 27 della Costituzione stabilisce che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”, mentre l’articolo 32 sancisce il diritto alla salute come “fondamentale diritto dell’individuo”. Nel caso di Pandetta, secondo la difesa, entrambi questi principi risulterebbero violati dalla mancata concessione della detenzione domiciliare.

Contro l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza è stato presentato ricorso per Cassazione. La difesa chiede l’annullamento del provvedimento impugnato e l’accoglimento dell’istanza di differimento dell’esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare per gravi motivi di salute.

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