Giulio Regeni: arriva un documentario sul caso del ricercatore ucciso in Egitto

Iniziate le riprese del film sostenuto dalla famiglia che continua a denunciare l’innegabile l’ostruzionismo e le ombre sulla vicenda.

Roma –  Mentre si cerca ancora la verità, storica e processuale, sulla morte di Giulio Regeni, c’è chi prova a dare una svolta con un documentario dettagliato. E’ in fase di realizzazione un lavoro sulla vicenda del ricercatore italiano rapito, torturato e ucciso in Egitto tra il 25 gennaio e il 3 febbraio 2016. La regia è di Simone Manetti, con la consulenza di Alessandra Ballerini: il documentario è prodotto da Mario Mazzarotto per Movimento Film. Manetti, fin dall’inizio del processo sta filmando tutte le udienze e seguendo in aula i genitori di Giulio, Paola Deffendi e Claudio Regeni e l’avvocato Alessandra Ballerini, che, con il supporto del “popolo giallo” e della “scorta mediatica” stanno cercando di ottenere una verità processuale.

La drammatica vicenda del giovane ricercatore di cui tutto il mondo conosce i risvolti tragici, da sei mesi è approdato in tribunale: 103 mesi di depistaggi, colpi di scena e segreti che dall’inizio del 2024 vengono analizzati nel processo in Corte d’Assise che si sta svolgendo presso il Tribunale di Roma. Una vicenda tragica e cruenta che ha coinvolto alte sfere della politica egiziana, italiana e internazionale, sollevando la mai risolta questione: può, la ragione di Stato prevalere sulle ragioni della Giustizia? Il documentario, che prevede l’utilizzo di materiali esclusivi ed inediti, nasce dall’esigenza e dalla generosità della famiglia Regeni di offrire una testimonianza onesta e dettagliata che possa raccontare “tutto il male del mondo” che si è abbattuto sulla loro esistenza e gli otto anni e mezzo di faticoso percorso di giustizia.

I coniugi Regeni

Un nuovo schiaffo dalle autorità egiziane all’Italia sui lati oscuri della vicenda è emerso il 19 giugno scorso, nell’ultima udienza del processo a carico di quattro 007 accusati di avere sequestrato, torturato ed ucciso il ricercatore friulano. La Farnesina aveva trasmesso ai pm di Roma una nota della Procura Generale del Cairo in cui si affermava che è “impossibile eseguire le richieste di assistenza giudiziaria” per fare ascoltare quattro testimoni egiziani nel processo. Il procuratore aggiunto, Sergio Colaiocco, aveva infatti citato quattro testimoni: tra loro anche il sindacalista Said Abdallah, la coordinatrice di un Centro per i diritti economici e sociali, Hoda Kamel Hussein e Rabab Ai-Mahdi, la tutor di Regeni al Cairo.

Alla luce dell’ennesimo rifiuto da parte delle autorità del Cairo, la Procura capitolina aveva chiesto alla Corte d’Assise di potere acquisire le testimonianze dei testi “assenti” raccolte nel corso delle indagini. “Siamo in presenza di persone che non hanno scelto liberamente di non essere qui. Le abbiamo tentate tutte per portare i testi qui”, aveva spiegato davanti alla Corte d’Assise il rappresentate dell’accusa. Per i genitori di Giulio, che erano presenti nell’aula bunker di Rebibbia, “nonostante tutto l’impegno profuso dalla procura e nonostante le richieste formali che sono state poste in essere dalla Farnesina, è innegabile l’ostruzionismo egiziano che pare a questo punto insormontabile – hanno commentato per bocca del loro legale, Alessandra Ballerini – Un ostruzionismo che anche per le argomentazioni che abbiamo sentito dal pubblico ministero, è del tutto illegittimo. Quindi il problema è l’ostruzionismo egiziano”.

Giulio Regeni invoca giustizia

Dalla scomparsa di Giulio Regeni, il 25 gennaio del 2016, al ritrovamento del suo corpo senza vita passano dieci giorni. Dieci giorni nel corso dei quali le istituzioni italiane si muovono ai livelli più alti, dal Presidente del Consiglio al nostro servizio segreto estero, senza però riuscire a salvare il ragazzo. Negli stessi giorni, mentre il ricercatore italiano viene torturato, il governo egiziano nega ogni responsabilità e in più occasioni ripete di non sapere che fine abbia fatto il ricercatore. Questa è la storia cristallizzata a oggi e poi incardinata nel processo che celebra a Roma nei confronti dei quattro ufficiali della National Security, il servizio segreto militare egiziano.

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