Gaetano Costa, il procuratore che osò sfidare la mafia

Il nipote omonimo rilancia la battaglia per fare luce sull’assassinio del magistrato che per primo indagò sui patrimoni di Cosa Nostra.

Palermo – Sono trascorsi quarantacinque anni da quel 6 agosto 1980, quando il procuratore di Palermo, Gaetano Costa, venne ucciso a colpi di pistola. Quasi mezzo secolo di silenzi, depistaggi e verità nascoste. Ma la famiglia non si arrende. Oggi è il nipote, che porta lo stesso nome del nonno, a raccogliere il testimone di una battaglia per la giustizia che sembra non avere fine.

Il peso di un nome e di una missione

“Trovare i suoi assassini non è solo una storia del passato”, dice con determinazione Gaetano Costa junior, che aveva appena due anni quando il nonno venne ucciso. La sua è una famiglia abituata a parlare con una voce sola: prima la nonna Rita, poi il padre Michele, ora tocca a lui portare avanti questa ricerca ostinata della verità.

Gaetano Costa jr

Insieme alla fondazione che porta il nome del procuratore assassinato, il nipote ha deciso di rilanciare le indagini: “Gli esecutori del delitto sono probabilmente ancora vivi, per certo le ricchezze accumulate da quei signori sono ancora in giro“. Una constatazione amara che fotografa una realtà scomoda: la mafia ha vinto, almeno in parte.

L’agguato di via Cavour: un delitto annunciato

Il 6 agosto 1980, alle 19:30, il procuratore Gaetano Costa stava passeggiando da solo in via Cavour. Due killer lo freddarono con sei colpi di pistola P38 sparatigli alle spalle mentre sfogliava dei libri su una bancarella. Morì all’età di 64 anni, dissanguato, su un marciapiede, a pochi passi da casa.

Il luogo del delitto

I killer scapparono forse in moto o forse su una A112, trovata poi bruciata. Un agguato studiato nei minimi dettagli, che colpì un uomo che, pur avendo diritto alla scorta e all’auto blindata come unico magistrato di Palermo, aveva scelto di rinunciarvi per mantenere la sua libertà di movimento e la sua indipendenza.

Ai funerali non parteciparono molte personalità, segno dell’isolamento che aveva caratterizzato gli ultimi mesi di vita del magistrato. Solo di recente, dopo 42 anni, il Comune di Palermo ha deciso di aggiungere la parola “mafia” sulla lapide commemorativa, che prima si limitava a ricordare la morte senza specificarne la causa.

Un magistrato scomodo

Il procuratore Gaetano Costa era una figura ingombrante nel panorama giudiziario palermitano degli anni Ottanta. Comunista a capo della procura di Palermo, aveva commesso il peccato imperdonabile di essere il primo magistrato ad avviare indagini patrimoniali su Cosa Nostra, in particolare sul clan Inzerillo. Le sue inchieste stavano mettendo in luce i rapporti pericolosi tra mafia e borghesia cittadina.

“Negli anni Ottanta un comunista a capo della procura era già di per sé un’immagine blasfema”, ricorda il nipote. Ma Costa non si limitava a essere un simbolo: agiva concretamente, firmando mandati di cattura che i suoi stessi sostituti si rifiutarono di convalidare, lasciandolo pericolosamente isolato.

L’isolamento che uccide

Quella mancata solidarietà dei colleghi pesò come un macigno. Il procuratore Costa aveva affidato al figlio una riflessione amara sui suoi sostituti: “Qualcuno è garantista sul serio, qualcuno ha paura, qualcuno è in malafede”. Parole che fotografano un clima di solitudine istituzionale che si rivelò fatale.

Particolarmente significativo il comportamento del sostituto Giusto Sciacchitano che, rivolgendosi agli avvocati degli imputati, scaricò ogni responsabilità sul procuratore Costa, “additandolo alla vendetta mafiosa”, come denunciò Leonardo Sciascia.

Nuove piste e vecchi depistaggi

Oggi emergono elementi che potrebbero riaprire il caso. I verbali di due collaboratori di giustizia, Francesco Marino Mannoia e Giuseppe Guglielmini, indicano in Giovannello Greco l’esecutore materiale dell’omicidio. Testimonianze che negli anni Novanta non furono mai adeguatamente valorizzate dalle indagini ufficiali.

Giovannello Greco

Nonostante la Corte d’Assise di Catania abbia accertato il contesto del delitto, individuandolo nella zona grigia tra affari, politica e crimine organizzato, a tutt’oggi non ci sono colpevoli. Il processo si concluse con un’assoluzione per il presunto palo del delitto, lasciando il caso irrisolto.

Il nipote del procuratore sta lavorando con un pool di avvocati per presentare una nuova istanza, mentre riesamina i documenti processuali e soprattutto il diario che il nonno tenne prima di insediarsi come procuratore. In quei fogli sono rimaste tracce preziose del contesto e dei rapporti di forza dell’epoca.

Connessioni pericolose

Particolarmente significativo il legame tra l’omicidio Costa e quello del presidente della Regione Piersanti Mattarella. Costa aveva infatti preso spunto da alcune ispezioni disposte da Mattarella su appalti sospetti per sviluppare le sue indagini sugli Inzerillo. “I due omicidi sono strettamente connessi. Potrebbero aver agito anche gli stessi sicari”, sostiene il nipote.

Le connessioni col delitto Mattarella

Al processo emerse che alcuni ufficiali della Guardia di Finanza che collaboravano con Costa furono trasferiti su pressione della Loggia P2, a testimonianza di come i tentacoli del sistema criminale-affaristico si estendessero ben oltre la mafia tradizionale.

Il ritorno degli Inzerillo

Oggi gli Inzerillo sono tornati a Palermo, simbolo di una mafia che “a dispetto della narrativa che si è voluta costruire, ha vinto”. La mafia degli italo-americani, quella che dominò il traffico di eroina negli anni Ottanta, non è mai stata davvero sconfitta.

“Ciò che oggi dobbiamo fare è impedire che la situazione si ripeta”, conclude il nipote del procuratore assassinato. Una missione che va oltre la giustizia per un singolo omicidio: si tratta di comprendere le dinamiche che portarono alle stragi degli anni Novanta.

La vera antimafia

“La ricerca della verità dovrebbe essere la vera missione dell’antimafia, denuncia Gaetano Costa junior, criticando chi ha trasformato l’essere familiare di vittima di mafia in “un mestiere”. Un monito che invita a distinguere tra retorica e sostanza, tra commemorazioni e ricerca effettiva della giustizia.

Quarantacinque anni dopo, la battaglia per la verità sull’omicidio del procuratore Gaetano Costa continua. Non solo per onorare la memoria di un magistrato coraggioso ma per impedire che il sacrificio di chi ha combattuto la mafia diventi vano. Perché, come dimostra il ritorno degli Inzerillo, la partita non è affatto chiusa.

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