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G8 Genova, 24 anni dopo: promosso il poliziotto condannato per la “macelleria” Diaz

Fabrizio Ledoti ottiene l’avanzamento di carriera e gli arretrati come risarcimento. La Cedu aveva chiesto sanzioni severe.

Genova – Esattamente 24 anni fa iniziavano le tre drammatiche giornate del G8 di Genova. Una recente sentenza del Tar del Lazio riaccende i riflettori su quello che rimane un tema irrisolto della democrazia italiana: le responsabilità delle violenze poliziesche e l’inadempienza dei governi nel dare seguito alle indicazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Mentre i giudici di Strasburgo da anni chiedono all’Italia di bloccare le carriere e sanzionare fino alla radiazione gli appartenenti alle forze dell’ordine colpevoli di gravi reati, accade l’esatto contrario. Uno degli agenti protagonisti della “macelleria messicana” nella scuola Diaz ottiene non solo l’avanzamento di carriera ma anche, come risarcimento, gli arretrati non percepiti per il presunto ingiusto ritardo nella sua promozione a ispettore.

Il protagonista: Fabrizio Ledoti

Il caso riguarda Fabrizio Ledoti che nel 2001 era capo squadra del Settimo nucleo del Reparto mobile di Roma, un’unità speciale appositamente creata e addestrata per il G8 genovese, dotata dei micidiali manganelli “tonfa” divenuti tristemente celebri.

Ledoti fu riconosciuto responsabile, insieme ad altri sei capi squadra, di lesioni gravi ai danni dei manifestanti che la notte tra il 20 e 21 luglio dormivano nella scuola Diaz, concessa al Genoa social forum. La condanna a quattro anni cadde in prescrizione a causa dei tempi processuali, prolungatisi per il numero di imputati e parti offese, ma anche per l’omertà di corpo che arrivava fino ai massimi livelli. Emblematico il caso delle foto tessera: quando la procura le chiese per i riconoscimenti, dal Viminale arrivarono immagini di ragazzini poco più che adolescenti.

Sanzioni blande e carriere protette

Nel 2016, quattro anni dopo la sentenza di Cassazione, il Capo della polizia inflisse a Ledoti la sanzione disciplinare di 45 giorni di sospensione dal servizio. Una punizione che impallidisce se confrontata con quella del collega Massimo Nucera, condannato a 3 anni e cinque mesi: inizialmente sospeso per 30 giorni, la sanzione fu successivamente ridotta a un solo giorno.

L’errore che diventa fortuna

Il ministero registrò erroneamente l’inizio del periodo di sospensione di Ledoti, postdatandolo di alcuni mesi. Questo slittamento gli impedì di partecipare ai concorsi per diventare vice ispettore e poi ispettore. Da qui il ricorso al Tar del Lazio che pochi giorni fa gli ha dato ragione, annullando una serie infinita di atti e determinazioni ministeriali.

Come scrivono i giudici nella sentenza, Ledoti “dopo l’irrogazione della sanzione ha ottenuto l’estinzione del procedimento disciplinare… e ha ricevuto ben due benefici, conseguenti ad avanzamenti anche stipendiali, oltre che di carriera, senza che gli sia stato opposto alcun ritardo”.

I giudici hanno riconosciuto a Ledoti anche un “risarcimento per il danno sofferto”, ordinando al ministero di versargli gli arretrati per il periodo dovuto al ritardo nella promozione. Non è noto se il ministero presenterà ricorso ma il caso dimostra, paradossalmente, che lo Stato di diritto funziona – almeno per tutelare chi aveva violato i diritti altrui.

L’Europa che l’Italia ignora

Lo stesso non si può dire dell’adempimento agli obblighi europei. Poche settimane fa, a giugno, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha nuovamente condannato l’Italia per le violenze subite da un manifestante del Global forum di Napoli del marzo 2001. Nelle motivazioni, i giudici di Strasburgo ribadiscono quanto già scritto nella prima sentenza di condanna relativa al G8 di Genova, nel ricorso di Arnaldo Cestaro, il più anziano tra i noglobal pestati nella notte della Diaz (Cestaro è mancato lo scorso anno).

Le parole inascoltate di Strasburgo

La Cedu aveva scritto nel 2015: “I poliziotti che hanno aggredito il ricorrente nella scuola Diaz-Pertini e lo hanno materialmente sottoposto ad atti di tortura non sono mai stati identificati”. Nella recente sentenza di Napoli, la Corte ribadisce: “Quando un agente dello Stato è stato accusato di reati che comportano maltrattamenti, è di fondamentale importanza che il procedimento penale e la condanna non siano prescritti… è importante che egli sia sospeso dal servizio durante le indagini o il processo e licenziato in caso di condanna”.

Corte europea dei diritti dell’uomo

Nella vicenda Ledoti, le indicazioni della Cedu rimangono rumore di sottofondo. Ma lo stesso si può dire, a ben altri livelli, per gli alti dirigenti condannati per la Diaz che hanno fatto carriera: Gilberto Caldarozzi è diventato il numero 2 della Direzione investigativa antimafia, Filippo Ferri questore di Monza.

24 anni di impunità

A 24 anni di distanza dalle giornate genovesi, il caso Ledoti rappresenta il simbolo di un sistema che premia chi avrebbe dovuto essere punito. Mentre l’Europa chiede giustizia e responsabilità, l’Italia continua a voltare le spalle alle proprie responsabilità, trasformando condanne morali in promozioni e risarcimenti.

Un paradosso che getta un’ombra lunga sulla credibilità delle istituzioni democratiche italiane e sulla loro capacità di fare i conti con una delle pagine più buie della storia repubblicana.

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