L’Italia continua a intrattenere rapporti commerciali anche con chi non potrebbe. Per legge. Da un lato da, dall’altro prende. E la verità sul caso Regeni e su altri omicidi di italiani all’estero si allontana sempre di più.
Lo avevamo ripetuto pochi giorni fa, la posizione dell’Italia in merito alla vendita d’armamenti verso i Paesi extra UE ed extra NATO appare sempre più ambigua. Avevamo già ipotizzato che, attraverso vie traverse, il Bel Paese potesse indirettamente armare i gruppi terroristi e, da quanto emerge dall’ultimo rapporto divulgato dalla Rete Disarmo in queste ore, non eravamo troppo distanti dalla realtà. I torbidi rapporti economici con sauditi e turchi, però, non sarebbero i soli a destare sospetto. Dalle prime anticipazioni sulla relazione governativa annuale sull’Export di armamenti, appena inviata al Parlamento, emergerebbe che il primo interlocutore economico in materia militare sarebbe l’Egitto. I due terzi dei commerci tessuti dall’Italia nel 2019 sono con Paesi estranei alla Comunità e alla Nato, per un totale di 5.174 milioni d’euro. Nello specifico, il Cairo ha acquistato materiali bellici dall’Italia per 872 milioni d’euro, seguito dal Turkmenistan con 446 milioni.
Rispetto al 2018 si sarebbe registrato un calo pari al 1,38%, ma che se messo in correlazione con gli anni precedenti al boom di vendite del triennio 2015-2017, mostra una preoccupante crescita.
“…Si tratta comunque dell’80% in più̀ rispetto ai valori del 2014 – scrive la Rete per il Disarmo – per cui si può̀ affermare che le esportazioni record del triennio 2015-2017 hanno trascinato le commesse per l’industria militare italiana su un livello medio superiore a quello di inizio secolo, con ben 84 Paesi destinatari (dal 2015 sono ormai stabilmente oltre 80 le destinazioni complessive). Un effetto che si farà̀ sentire sempre di più̀ nei prossimi anni sulle effettive spedizioni e fatturazioni. A questo riguardo, l’Agenzia delle Dogane registra avanzamenti annuali di consegne definitive per complessivi 2.899 milioni di euro (2.388 milioni per licenze singole e 511 milioni per licenze globali di progetto) …”.
Sarebbero 32 gli elicotteri trasportati sulle sponde del Nilo, di cui 24 sarebbero Aw149 e 8 Aw189, ovvero elicotteri indirizzati a operazioni di Search&rescue ma che possono anche trasportare truppe ad essere armati. “…Se sono per uso civile – domanda Francesco Vignarca di Rete Disarmo – perché chiedere l’autorizzazione militare?…”.
Effettivamente i dubbi rispetto ai soliti intrecci economici sono tanti. In primo luogo la questione etica. Il governo del Cairo, a più riprese, è stato classificato dalle istituzioni italiane come non adeguato al rispetto dei diritti umani, dunque stante la legge 185/90 che regola la vendita estera dei sistemi militari italiani, con i rappresentanti egiziani non doveva esserci alcun rapporto commerciale. È bene ricordare che l’esecutivo che probabilmente nasconde i fascicoli sulla morte di Giulio Regeni, e che appare riluttante a fare chiarezza sulla detenzione dello studente Patrick Zaki, manterrebbe in prigionia circa 60 giornalisti non graditi al governo. Quando pochi anni fa, in campagna elettorale, i leader del Movimento 5 Stelle invocarono a gran voce un ridimensionamento del comparto industriale italiano delle armi, probabilmente perché non avevano previsto tale epilogo. Cos’è cambiato dall’allora? Forse Di Maio&C. hanno capito, a loro spese, che la necessità di far quadrare i conti è superiore ai dilemmi etici? E se di primo acchito si può criticare direttamente l’operato del governo di Al Sisi, di contro negare un così cospicuo rendiconto economico creerebbe cospicui scompensi al Pil nazionale. Insomma la realtà spesso è differente dagli slogan.
Dall’altra parte si è dato un segnale molto chiaro sul futuro delle indagini alla famiglia di Regeni e a tutte le persone che in questi anni si sono spese per fare chiara luce su una vicenda estremamente nebulosa. D’altronde fin dalla seconda Guerra mondiale, l’Egitto ha sempre ricoperto un ruolo geopolitico chiave nell’assetto continentale: le premature morti dei presidenti Nasser e Anwar al-Sadat mostrano chiaramente gli intrecci che si celano dietro le vecchie e nuove strategie per il controllo del canale di Suez.
Anche l’importante vendita di armi al Turkmenistan potrebbe far storcere il naso, soprattutto perché fino all’anno scorso le leggi italiane vietavano questo tipo di rapporti economici con il Paese asiatico. Le vendite nostrane sono andate ad interessare anche il Regno Unito, l’Algeria l’Australia e il Brasile. Con ottimi profitti.
Quante di queste armi prenderanno vie alternative e contribuiranno a rapimenti, massacri, attentati o colpi di Stato cruenti? Quante volte ci troveremo costernati e pronti alla pubblica condanna? Certo è impossibile dirlo con certezza, ma gli excursus storici ci dicono che le probabilità sono alte. Basti ricordare come molte delle bombe vendute in questi ultimi anni all’Arabia Saudita sembrerebbero essere state utilizzate per la guerra in Yemen. Insomma, in attesa che il governo pubblichi l’intera relazione, anche questa volta a fare da padrone sembrerebbero essere stati gli interessi economici, a discapito dei principi umanitari. Per quanto riguarda, invece, propriamente le imprese costruttrici, ai vertici della classifica troviamo Leonardo Spa con il 58%, seguita da Elettronica S.p.a. (5,5%), Calzoni S.r.l. (4,3%), Orizzonte Sistemi Navali (4,2%) e Iveco Defence Vehicles (4,1%).
In ultimo, spunta un nuovo e vigoroso rapporto economico-militare con Israele. Infatti, l’Italia avrebbe comprato armamenti di diverso genere da Gerusalemme per un totale del 14% degli acquisti. Un chiaro messaggio, questo, al popolo palestinese.