Il giovane di 18 anni veniva colpito brutalmente e immobilizzato sino all'asfissia. Simili violenze non appartengono alle Forze dell'Ordine sane e consapevoli del loro ruolo in seno alla società.
Ferrara – Il 25 settembre 2005, alle 6.04 lo studente Federico Aldrovandi, 18 anni, pestato a sangue da quattro agenti di polizia spirava poco dopo. E’ stato il primo caso di ”mala polizia“ a finire nella storia giudiziaria italiana. Infatti, dopo Federico, perderanno la vita sotto la responsabilità di una divisa Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Riccardo Rasman, Michele Ferulli, Dino Budroni, Aldo Bianzino, Riccardo Margherini, Davide Bifolco e altri ancora, purtroppo.
Sabato 24 settembre, dopo il lavoro in una pizzeria d’asporto, Federico era andato con gli amici in un locale di Bologna, il Link, per assistere ad un concerto. Nonostante l’annullamento dell’evento, il gruppo di amici aveva deciso di trascorrere la serata ballando e bevendo all’interno del locale. Federico aveva assunto anche qualche dose di stupefacente. Rientrati a Ferrara, verso le 5 del mattino, lo studente si faceva lasciare nei pressi di via Ippodromo, non lontano da casa, per smaltire un po’ lo sballo.
Alcuni residenti della zona alle 5.47 chiamavano il 113 riferendo agli operatori della presenza di un ragazzo che urlava frasi sconnesse e tirava calci ai cassonetti. Sul luogo arrivava la pattuglia Alfa 3, con a bordo gli agenti Enzo Pontani e Luca Pollastri che lo descrivevano come un ”invasato violento in evidente stato di agitazione”. Non riuscendo a calmarlo, chiamavano rinforzi. Subito dopo giungeva in zona la volante Alfa 2, con gli agenti Paolo Forlani e Monica Sagatto. Lo scontro tra i quattro poliziotti e il giovane diventava molto violento, tanto che durante la colluttazione si sarebbero spezzati due manganelli.
Alle 6.04 veniva chiamata un’ambulanza del 118: Federico era a terra immobilizzato, in posizione prona, con le manette ai polsi. Non si muoveva più, sembrava svenuto. Il personale del 118, giunto in zona con l’ambulanza e un’auto medica, dopo numerosi tentativi di rianimazione cardiopolmonare, non poteva fare altro che constatare la morte del giovane per arresto cardio-respiratorio e trauma cranico-facciale. Ma i genitori Lino Aldrovandi e Patrizia Moretti, fin da subito, non credono alla morte del figlio per un malore dovuto all’assunzione di stupefacenti.
Il suo cadavere riportava i segni di una mattanza: 54 lesioni ed ecchimosi sul corpo, buchi sulla testa e lo scroto distrutto. Nel gennaio 2006 Patrizia Moretti apriva un blog in rete in cui la famiglia metteva in evidenza le incongruenze del caso e, soprattutto, le modalità dell’intervento dei poliziotti per calmare il ragazzo. Effettivamente la perizia tossicologica non combaciava con la versione dell’overdose.
Inoltre c’era una testimone oculare, la camerunese Anne Marie Tsagueu, residente in via Ippodromo, che dichiarava di aver visto ed udito distintamente alcune frasi durante la colluttazione: Federico veniva picchiato da due agenti, compresso sull’asfalto, preso a manganellate e gridava aiuto tra un conato di vomito e l’altro. A questo punto, venivano riaperte le indagini e disposte una serie di perizie. Secondo quella del professor Stefano Malaguti, consulente della Procura di Ferrara, il diciottenne sarebbe morto a causa di un mix di ketamina, eroina e alcol che avrebbe indotto un’insufficienza respiratoria e, conseguentemente, un arresto cardiocircolatorio.
Conclusione a cui si opponevano i genitori con la consulenza dei professori Antonio Zanzi e Giorgio Gualandri, secondo i quali il decesso sarebbe avvenuto per asfissia posturale. Nel marzo 2006 venivano iscritti sul registro degli indagati i quattro poliziotti e la perizia supplementare del professor Francesco Maria Avato riconfermava come causa della morte l’assunzione combinata di droga e alcol. Una super perizia, medico-legale e tossicologica, a seguito dell’incidente probatorio richiesto dal Pm Nicola Proto rivelava che la morte di Federico Aldrovandi sarebbe stata provocata dalla mancanza d’aria e da un crollo delle funzioni cardio-respiratorie quali conseguenze di una sindrome da ipereccitazione chiamata ”excited syndrome delirium”.
Uno stato causato, secondo il Pm, dalle percosse subite dai poliziotti e dalla costrizione in posizione prona. I quattro agenti venivano rinviati a giudizio con l’accusa di ”eccesso colposo”. Il 6 luglio 2009 i poliziotti Forlani, Segatto, Pontani e Pollastri venivano condannati a 3 anni e sei mesi di reclusione per omicidio colposo. Il giudice Francesco Caruso ipotizzava anche che lo stato di agitazione del ragazzo fosse dovuto proprio all’intervento della prima volante che, con ogni probabilità, si trovava già nelle vicinanze di via Ippodromo prima della richiesta di intervento degli abitanti della zona.
Proprio per verificare quest’ultima circostanza e il relativo broglio delle chiamate al 113, nel maggio 2007 veniva aperta un’inchiesta-bis e rinviati a giudizio anche gli agenti Paolo Marino, Marco Pirani, Marcello Bulgarelli e Luca Casoni con l’accusa, a vario titolo, di falso, favoreggiamento e omissione di atti d’ufficio. Casoni veniva assolto perché ”il fatto non sussiste” mentre gli altri scontavano pene variabili dagli otto ai dodici mesi di reclusione. Il terzo filone d’inchiesta vedeva condannato ad altri tre mesi Paolo Marino per omessa denuncia aggravata, in relazione alle prime indagini.
Il 16 maggio 2011 presso la Corte d’Appello di Bologna si apriva il processo di secondo grado per la morte di Federico, i cui genitori rinunciavano a costituirsi parte civile in quanto ottenevano un risarcimento dal Ministero dell’Interno di quasi due milioni di euro. Alla fine di questa lunga vicenda giudiziaria, il 21 giugno 2012 la Corte di Cassazione confermava la sentenza di condanna a tre anni e tre mesi per gli agenti delle volanti Alfa due e Alfa tre. La pena verrà poi ridotta a sei mesi per sopraggiunto indulto.
Ma accadrà qualcosa di ancora più sconcertante: in barba alla mobilitazione nazionale che chiedeva la loro destituzione, i quattro aguzzini in uniforme verranno reintegrati in servizio seppur destinati a funzioni d’ufficio. A Ospital Monacale, frazione del Comune di Argenta, il giardino pubblico è stato intitolato alla memoria di Federico Aldovrandi, vittima di una barbarie che non appartiene alle Forze dell’Ordine sane e consapevoli del proprio ruolo.
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