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Falso trading. Subito facili guadagni, poi i soldi sparivano

La Polizia ha scoperto una rete ben organizzata che truffava ignare vittime. Queste venivano contattate e gestite da un call center con sede all’estero.

PORDENONE  – Sono centinaia le persone truffate dall’organizzazione criminale transnazionale che aveva realizzato un sistema di falso trading online. Si stima che l’ammontare della truffa sia superiore ai cinque milioni di euro.

L’operazione denominata “Dream earnings” ha permesso di scoprire la rete, il sistema e l’organigramma dell’associazione su coordinamento della Procura della Repubblica italiana e albanese.  

Gli agenti hanno eseguito quattordici ordinanze di custodia cautelare, di cui nove in carcere e cinque ai domiciliari. Gli agenti hanno rintracciato e arrestato a Tirana nove dei quattordici destinatari delle misure,  mentre in cinque sono risultati irreperibili e sono attivamente ricercati.

In particolare cinque arrestati sono stati portati in carcere, mentre quattro sono stati invece sottoposti agli arresti domiciliari.

Le quattordici misure cautelari fanno seguito alle indagini dello scorso 25 ottobre nell’ambito dell’operazione “dream earnings” nell’ambito della quale sono state arrestate tre persone e sequestrato un call center.

Oltre ai quattordici destinatari di misura cautelare, le indagini hanno permesso di denunciare in stato di libertà di ulteriori quarantaquattro cittadini albanesi, individuati essere tutti membri, con specifici compiti e ruoli, del predetto sodalizio criminale.

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Un momento della conferenza stampa

IL MODUS OPERANDI

Ad essere truffati sono stati uomini e donne di tutte le età e di varie estrazioni sociali, tutti attratti dalla possibilità di guadagnare soldi velocemente.

Il modus operandi era sempre lo stesso: dopo aver ottenuto la fiducia della vittima i malviventi effettuavano una prima proposta d’investimento di € 250 in azioni Amazon osservandone il rendimento per una settimana.

I truffatori proponevano poi l’estensione dell’investimento sulla criptovaluta bitcoin chiedendo ed ottenendo dalle vittime il versamento di migliaia di euro in conti stranieri.

Ad ogni bonifico in ingresso corrispondeva infatti una cessione di bitcoin in favore di altro Wallet sconosciuto, che faceva così perdere le tracce del denaro.

Il gruppo aveva messo in piedi un call center, con diverse figure al proprio interno: c’erano operatori, che gestivano il primo contatto con i clienti e verificavano la disponibilità ad investire, e veri e propri “consulenti” che guidavano le vittime verso gli investimenti più vantaggiosi.

La fidelizzazione del “cliente” diveniva così efficace al punto che la vittima, nella maggior parte dei casi, acconsentiva a far operare sul proprio pc il truffatore, che da remoto disponeva “in tempo reale” i bonifici esteri mediante un software di controllo a distanza denominato “Anydesk”.

I truffatori, tuttavia non si limitavano a questo, spesso controllavano le email, le fotografie e i documenti delle vittime, tutte informazioni che venivano sfruttate per fare social engineering per il plagio dei malcapitati qualora si dimostrassero reticenti ai successivi investimenti.

Altre volte,  i truffatori diventavano aggressivi e spietati anche sfruttando le informazioni precedentemente apprese, al punto di convincere le stesse a richiedere finanziamenti dedicati a nuovi investimenti.

In altri casi, le vittime consegnavano spontaneamente le credenziali di accesso ai propri servizi di home banking al proprio “consulente”, in modo da velocizzare le operazioni di investimento cogliendo al volo un particolare andamento di mercato.

Numerose, le ragioni che i truffatori accampavano ogni qualvolta che le vittime volevano incassare i falsi profitti, tra le quali figurava una falsa commissione da pagare, per lo sblocco del denaro, ad una presunta agenzia dell’Unione Europea a causa della Brexit. Le cifre, ancora una volta, venivano incassate dal gruppo che, ovviamente, non restituiva nemmeno la somma “investita”.

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Un call center

L’ORGANIZZAZIONE

L’organizzazione funzionava secondo schemi ben precisi: i vari operatori del call center, che avevano un vero e proprio stipendio e ricevevano dei bonus una volta conclusa la truffa, erano suddivisi in settori.

Aal vertice di ogni gruppo c’era un capo che oltre a ricevere una provvigione per le truffe concluse riceveva un bonus sui raggiri conclusi dagli operatori del suo gruppo.

Ogni capo a sua volta rispondeva ad un amministratore, denominato supervisore, che oltre ad avere lo stipendio più alto otteneva guadagni significativi dalle truffe concluse da tutto il sodalizio. Inoltre erano previste delle sanzioni e delle punizioni per chi non fosse in grado di concludere contratti.

Un vero e proprio sistema a matrioska che portava i vari operatori a “sfidarsi” tra di loro facendo a gara a chi fosse più abile a concludere contratti ed a portare provvigioni; il tutto ovviamente in danno degli ignari cittadini, povere vittime di questa assurda competizione.

L’attività esperita permetteva altresì di individuare e identificare i tecnici responsabili del sodalizio che gestivano l’intera infrastruttura informatica del call center tesa anche ad ostacolare ed impedire le investigazioni nei loro confronti e l’individuazione del call center in argomento.

LE INDAGINI

Le indagini sono partite a seguito di una denuncia alla Polizia Postale di Pordenone. I successivi accertamenti hanno portato alla luce uno schema di frode particolarmente complesso, nel quale le vittime, contattate a mezzo telefono, venivano convinte dai truffatori ad investire delle cifre dapprima molto basse, che però generavano apparenti rendimenti stratosferici.

Alcune vittime, infatti, vedevano triplicarsi il patrimonio investito nel giro di pochi giorni, visualizzando i rendimenti attraverso la consultazione di piattaforme di trading false e configurate ad hoc dal sodalizio per rendere più credibile l’affare.

Nel corso di più di 42.000 intercettazioni telefoniche effettuate dagli investigatori italiani, è infatti emerso quanto i truffatori fossero abili nell’utilizzo di vere e proprie tecniche di persuasione, al punto da convincere ignari cittadini a versare, nel tempo, svariate centinaia di migliaia di euro su conti correnti esteri.

I truffatori erano particolarmente abili ad entrare in empatia con le potenziali vittime: I dialoghi spaziavano dall’emergenza pandemica in corso all’epoca dei fatti, a situazioni personali sentimentali e familiari delle vittime, proponendosi come nuovi amici e confidenti.

L’analisi dei conti correnti, effettuata dagli investigatori mediante accertamenti che hanno coinvolto diversi Paesi membri dell’Unione Europea fra i quali Cipro, Lituania, Estonia, Olanda e Germania hanno portato alla luce il fatto che il denaro delle vittime, nella maggior parte dei casi, veniva convertito in criptovalute legati a conti esteri non tracciabili.

Decisiva per le indagini è risultata essere anche l’approfondita analisi svolta dagli investigatori italiani del contenuto dei dispositivi elettronici e dei computer sequestrati agli arrestati nel corso delle perquisizioni e delle misure cautelari eseguite lo scorso 25 ottobre.

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