Il dirigente denuncia presunti sprechi milionari, irregolarità e cattiva gestione. Rischia l’espulsione dall’Ente per aver chiesto trasparenza?
Cuneo – Marco Bravi, volontario e dirigente ENPA, lancia l’allarme alla vigilia dell’assemblea nazionale del 15 giugno, durante la quale potrebbe essere votata la sua espulsione dall’ente insieme ad altri dirigenti, “colpevoli” di aver denunciato irregolarità nella gestione dell’Ente Nazionale Protezione Animali.
Le accuse: dai contratti illegittimi agli sprechi milionari
Bravi non usa mezzi termini nel descrivere quella che definisce una gestione “approssimativa e personalistica” dell’ENPA. Le accuse più gravi riguardano presunti contratti firmati “all’insaputa degli organi interni competenti“, che avrebbero coperto “irregolarità, ammanchi economici e truffe“. Una pratica che, secondo il dirigente, avrebbe bypassato sistematicamente i controlli interni previsti dai regolamenti dell’ente.
Particolarmente pesante l’accusa di aver trasformato la sede centrale in un supposto “stipendificio” da quasi 2 milioni di euro annui, pari al 5×1000 ricevuto e analogo al costo del personale per tutte le strutture italiane. Una cifra che Bravi definisce “sovradimensionata, superflua e ridondante dal sentore clientelare“, composta da “dipendenti, consulenti e collaboratori di varia natura” in una struttura che presenta “diffuse e reiterate incapacità di gestione“.

Tra i problemi gestionali denunciati, Bravi cita i “DURC costantemente irregolari“, la mancata applicazione della “doverosa quota IVA alle sezioni commerciali” e irregolarità nella “distribuzione locale delle eredità e donazioni“. Problematiche che al dirigente sarebbe stato “impedito di risolvere“, subendo resistenze interne alle sue proposte di riforma.
Stipendi “volontari” da 2mila euro al mese
Tra le irregolarità denunciate da Bravi figura quella dei dirigenti che percepirebbero stipendi di 2.000 euro mensili pur ricoprendo ruoli che dovrebbero essere “volontari e gratuiti“ secondo lo statuto dell’ente. Una contraddizione che minerebbe alla base la natura stessa dell’ENPA come organizzazione di volontariato.
Il dirigente punta il dito su alcune persone che avrebbero mantenuto “per anni cariche incompatibili con lo status di dipendente diretto/indiretto“, una situazione che avrebbe comportato incompatibilità tali che alcuni soggetti verrebbero ora “sostituiti in Assemblea con l’elezione del componente sostitutivo“.

La gestione avrebbe creato “forti perdite per centinaia di migliaia di euro“, un dissesto finanziario che secondo Bravi sarebbe stato coperto “svendendo immobili ed eredità” destinati alla tutela degli animali. Un particolare che Bravi tiene a sottolineare è la scomparsa dagli organigrammi della “figura statutaria del tesoriere nazionale“, che solleva interrogativi sulla supervisione finanziaria dell’ente.
Il paradosso delle risorse
Secondo Bravi, mentre la sede centrale spreca risorse in una struttura sovradimensionata, si è scelto di “affossare l’unica realtà di produzione risorse (CNCS)”, il Centro Nazionale Comunicazione e Sviluppo che garantiva entrate costanti. Questa scelta avrebbe privato le sezioni locali degli “aiuti costanti ed uniformemente distribuiti“, lasciandole “utili solo per sfruttare immagini ed attività per poi premiare i soliti noti”.
Un sistema che avrebbe trasformato le sezioni territoriali in meri strumenti di propaganda e raccolta fondi, mentre i benefici economici si concentrerebbero negli uffici centrali. L’accusa si estende alla gestione “opaca o fuori norma” dei fondi ministeriali destinati ai CRAS (Centri Recupero Animali Selvatici), risorse pubbliche che dovrebbero essere gestite con la massima trasparenza.

Il dirigente denuncia inoltre l’acquisto di strutture da parte del Nazionale – “quello che non ha mai soldi per le sezioni” – poi “gestite in maniera fallimentare e irregolare“. Una strategia di investimenti che appare contraddittoria rispetto alle continue richieste di risorse provenienti dal territorio.
Il silenzio come strategia
Bravi denuncia una sorta di strategia sistematica e ben orchestrata per mettere a tacere qualsiasi forma di dissenso interno. Gli organi centrali “blindano le proprie personali responsabilità dietro agli avvocati ENPA pagati con i soldi per gli animali”, utilizzando risorse destinate alla tutela degli animali per difendersi dalle accuse.
Il sistema si baserebbe su “intimidazioni legali, formalismi, cavilli e provvedimenti di facciata” elaborati dal direttore generale, descritto come “semplice dipendente ormai dai poteri assoluti“ che “pontifica sull’attività dei veri volontari da dietro la sua stipendiata scrivania“.
Un meccanismo repressivo che utilizzerebbe “sospensioni, commissariamenti, esclusioni, silenzi istituzionali e censure telematiche” per neutralizzare chiunque osi sollevare questioni scomode. Bravi stesso sarebbe stato colpito da sospensione “funzionale ad evitare ulteriori accertamenti”.
Le denunce legali promosse dalla dirigenza sarebbero sistematicamente “temerarie e prive di esito“, utilizzate non per ottenere giustizia ma per “fuggiredal confronto ed evitare di rispondere nel merito” alle accuse di malagestione.
L’Assemblea del 15 giugno: ultima chiamata
L’Assemblea Nazionale del 15 giugno si preannuncia come un momento decisivo per il futuro dell’ENPA. Al punto 2 dell’ordine del giorno, inserito strategicamente per “tentare di evitare dibattiti su successivi bilancio e relazioni”, si voterà sulle espulsioni proposte dalla Presidente nazionale.
Bravi inoltre chiama in causa una grave violazione delle regole democratiche: “i nomi dei destinatari e soprattutto le motivazioni” delle espulsioni rimangono “avvolti nell’ombra“, nonostante i regolamenti prevedano che queste informazioni siano pubbliche “per rendere il voto informato“. Una prassi che si ripeterebbe “come costante negli ultimi anni“, evidenziando un modus operandi, a suo dire, poco trasparente.
Il paradosso pare evidente: si rischia l’espulsione “vergognosamente” per aver ricercato “trasparenza ed eticità“, mentre “non ci sarebbe alcuna conseguenza” per chi ha provocato “oggettivi e misurabili danni morali e patrimoniali” all’ente.

Il “danno d’immagine” contestato a Bravi e agli altri dirigenti critici sembrerebbe “pretestuoso“ e “soggettivamente valutato proprio da chi i danni veri li ha fatti o li ha permessi“. I fatti smentiscono questa tesi: le firme per il 5×1000 sono aumentate da 68.517 nel 2023 a 71.784 nel 2024, dimostrando che le denunce non hanno intaccato la fiducia del pubblico verso l’ENPA.
L’appello finale
Bravi conclude il suo lungo j’accuse con un appello ai “volontari onesti” perché non accettino “le intimidazioni, diventando complici di chi sta trasformando un sano ente di volontariato in una macchina di potere“. Il voto sulle espulsioni sarà segreto, “l’unica e ultima possibilità” per fermare quella che Bravi considera una deriva autoritaria.
Un confronto che parte “impari fra volontari che si pagano viaggio e tempo” e “pullman di truppe cammellate, pagate chissà come e da chissà chi“. Il futuro dell’ENPA si gioca in questa assemblea, tra chi chiede trasparenza e chi, secondo Bravi, preferisce il silenzio.

Abbiamo intervistato Marco Bravi, per farci raccontare la vicenda che coinvolge il più antico ente protezionistico italiano, personalità giuridica di diritto pubblico sino al 31 marzo 1979.
Lei ha denunciato contratti firmati “all’insaputa degli organi competenti“. Può fornirci esempi concreti di questi contratti e spiegare come avrebbe scoperto queste irregolarità?
“Premetto che dal 2003 sono dirigente nazionale a titolo volontario e gratuito – esordisce Bravi – regolarmente eletto e quindi dal 2003 fino alla mia sospensione (3 Luglio 2024, a oggi sono formalmente ancora nelle mie funzioni come si può verificare su https://enpa.org/chi-siamo/organi/ ). Ho quindi partecipato attivamente all’attività degli organi che avrebbero dovuto deliberare tutti i contratti, compresi quelli di lavoro. A partire dal 2023, più volte, nell’ambito del mio ruolo di amministratore e di socio, ho formalmente richiesto conto alla presidenza nazionale (legale rappresentante) e alla direzione generale (che detiene tutti gli accessi ai contratti e al protocollo) su contratti di lavoro, rapporti con agenzie interinali e fornitori. Per oltre un anno mi sono scontrato con un “muro di gomma”, rimpallato fra revisori dei conti, commercialisti e consulenti, fino a quando nel giugno 2024 è pervenuta una lettera anonima a tutte le sezioni ENPA, che denunciava la presenza di contratti anomali. Unico fra tutti gli amministratori, in un contesto privo di iniziativa e di diffusa incompetenza (neanche la tesoriera, parole sue, era in grado di inserirsi nel sistema contabile e doveva sempre rivolgersi agli impiegati per qualsiasi quesito), ho iniziato a fare delle verifiche che hanno puntualmente confermato quanto segnalato dall’anonimo mittente. Molti contratti con le agenzie interinali risultavano stipulati senza alcuna delibera del competente Organo di amministrazione e risultavano afferenti a sezioni locali strettamente correlate con la dirigenza nazionale, fra cui Genova e San Severo che, è emerso poi, aveva una doppia gestione. La sezione locale lavorava con i volontari e raccolte fondi, la struttura canile convenzionata con una parte di dipendenti ufficiali e una parte interinale, il tutto anormalmente gestito dal direttore generale di ENPA. La particolarità che univa tutti questi casi e che ne caratterizzava l’irregolarità era che, a differenza della somministrazione del servizio, erano i dirigenti coinvolti che dicevano chi assumere. Con il caso eclatante di Genova, dove gli assunti erano, guarda caso, il vice presidente nazionale e presidente di sezione, nonché il vicepresidente della sezione stessa, ossia incarichi “volontari e gratuiti”. Fino all’uscita della questione, la presidente nazionale ha più volte dichiarato che non ci fossero dirigenti stipendiati (direttamente o indirettamente cambia poco). Quando ho richiesto l’identificazione di tutti i contratti (si presume ce ne fossero altri o forme “a rimborso” per servizi fittizi) ho avuto come ritorsione la mia sospensione e la totale esclusione dal sistema comunicativo e di gestione con la conseguente successiva impossibilità di accedere agli atti. A conferma dell’irregolarità, l’immediata risoluzione dei contratti identificati e la copertura delle situazioni come conferma Genova che, ad oggi, vedrebbe ufficialmente come responsabile la presidente nazionale (che mai ha messo un piede a Genova) ma risulta ancora pienamente operativo tutto il “personale” oggetto della verifica. Risultano presenti altri contratti interinali (dichiarazione del vice presidente nazionale del 4/6/24) e altri che hanno completamente bypassato l’organo nazionale di amministrazione (es. acquisti di mezzi, gadgets e similari) e quindi non si può escludere una loro estesa sistematicità e funzione per compensare altri tipi di attività passando dalla direzione generale per l’iter formale e dalla Tesoreria per i pagamenti“.
Bravi parla anche di una sede centrale trasformata in “stipendificio” da 2 milioni di euro. Quante persone lavorano effettivamente in questa sede e quali sono i loro ruoli specifici?
“L’ENPA è un’organizzazione di volontariato – aggiunge il dirigente – È indubbio che necessiti di dipendenti, prevalentemente per la gestione degli animali e altre funzioni nelle sezioni locali, che riescono a pagarli – in totale autonomia – con convenzioni e attività a sostegno. Il calderone della sede centrale incassa da donazioni, eredità e dal 5×1000 che, nelle intenzioni dei donatori, dovrebbe essere distribuito alle realtà locali. Peccato che circa 2 mln€/anno (bilancio 2023) di questo totale finiscano nelle tasche di dipendenti, collaboratori e consulenti di sede centrale, spesso autonomamente individuati dalla direzione generale e dalla presidenza nazionale. In sede di bilancio vengono poi rendicontati in voci generiche, con bilanci che vengono presentati sbrigativamente in 2 paginette trasmesse in genere 2 giorni prima dell’assemblea di ratifica a soci normalmente privi di competenze contabili. I ruoli di molti collaboratori sono sconosciuti ai più, spesso ridondanti e finalizzati all’assunzione diretta (o di forniture) di persone senza qualifiche specifiche, senza un bando, che poi vengono infilate in funzioni indefinite”.
Lei parla di dirigenti che percepirebbero 2.000 euro mensili pur essendo “volontari”? Di quante persone stiamo parlando e da quanto tempo percepiscono questi compensi?
“Nonostante l’incompatibilità fra ruolo dirigente (sia nazionale che locale) e il percepimento di emolumenti (diretti o indiretti) sia assodata e confermata dalla stessa presidente nazionale, non sono pochi gli “escamotage” noti che si sommano certamente ad altri non noti ai più – continua Bravi – Oltre al sopracitato caso eclatante di Genova (dove il vice presidente nazionale, mentre ricopriva l’incarico, ha percepito per oltre 4 anni e fino alla scoperta circa 5.000€ lordi mensili con netti della metà circa), ci sono sezioni che hanno presidenti “formali” e sono di fatto gestite da dipendenti, ex presidenti o dirigenti. La mia richiesta, in qualità di amministratore, di conoscere l’elenco dei dipendenti è sempre stata bloccata dalla direzione generale adducendo problemi di privacy. E poi ci sono figure apicali che, prive di qualsivoglia professionalità, qualifica e partita IVA, svolgono generiche attività di consulenza per l’ente: anche qui la mia richiesta di rendere pubbliche dichiarazioni dei redditi e attività a rimborso è stata più volte rifiutata. Il numero è pertanto certo ma non definibile”.
Lei imputa alla dirigenza di aver coperto le perdite “svendendo immobili ed eredità“. Può quantificare queste perdite e dirci quali e quanti beni sono stati alienati?
“Non accuso, anche perché mi è stato impedito di avere informazioni sullo stato di consistenza patrimoniale, posizioni debitorie, patrimonio immobiliare, nonostante fossi eletto come amministratore – precisa Bravi – Semplicemente domando e faccio 2+2. Negli ultimi anni, nonostante il costante incasso del 5×1000 e l’arrivo di eredità, il messaggio che è stato inviato a tutte le sezioni dalla presidente nazionale è: “Non ci sono più soldi”. Più di una voce parla di soldi dilapidati e spese fuori controllo, senza specificare da chi, quando a muovere i soldi dovrebbe essere autorizzata solo la Tesoriera Nazionale su mandato dell’Organo di amministrazione. Per di più risultano messi in vendita immobili di strutture che avrebbero dovuto ospitare animali e progetti specifici (Cremona, Valdellatorre, ecc.). Con questi assunti è evidente che qualcosa non torna ma rimane nell’opacità delle non risposte“.
Cosa è successo esattamente al Centro nazionale Comunicazione e Sviluppo (CNCS) e quale impatto economico ha avuto la sua chiusura sulle sezioni locali?
“Ufficialmente non è chiuso – chiarisce Bravi – anche se ormai appare funzionalmente residuale. Fino al 2022, con la guida del sottoscritto dal 2009 e attraverso la collaborazione con le aziende, ha prodotto risorse per un controvalore di oltre 1 milione di euro l’anno che, al netto dei costi che si ripagava senza incidere su altre risorse nazionali, distribuiva equamente a tutte le sezioni territoriali (oltre 200). Ogni anno, durante l’assemblea di bilancio, veniva fatto un report dettagliato al centesimo di euro, completo della distribuzione geografica delle risorse. Nel 2023 è stato snaturato completamente dalla sua funzione solidaristica originaria perché fu chiesto che producesse risorse “per la sede centrale” nella quale è stato assorbito. Ad oggi le sezioni non ricevono praticamente più nulla, se non ridicoli gadget e promo, e i report sono genericissimi, così come quelli del bilancio sociale che riportano dei numeri completamente sganciati dalle realtà”.
Come spiega l’apparente contraddizione tra la mancanza di fondi per le sezioni territoriali e gli acquisti di strutture da parte della sede centrale?
“Nessuna contraddizione: quando un sistema non è fondato sulla meritocrazia e la capacità ma teso a premiare il servilismo, prevale la logica clientelare – aggiunge il dirigente – per cui è più importante “portare voti” che salvare animali e creare valori. Purtroppo succede quando professionisti della politica traslano le logiche perverse e disgustose in un mondo bellissimo quale dovrebbe essere quello del volontariato. Cosa dire quando vedi rifiutare – per mancanza di fondi – del cibo per animali bisognosi e poi comprare una struttura da centinaia di migliaia di euro per un progetto farlocco, dimostratosi fallimentare, in un posto inutile, solo per dare una casa associativa ad una favorita del nazionale?“.
Lei ci riferisce di “intimidazioni legali” e “provvedimenti di facciata“. Può raccontarci la sua esperienza personale con questi meccanismi?
“Più persone mi hanno confermato, in forma verificabile, di essere state attinte da minacce di ritorsione legale se non avessero accettato certi diktat – afferma Bravi – Anche se non hai fatto niente di illegale, intimidiscono la persona, che deve pagare gli avvocati. Tanto loro, per difendere sè stessi, utilizzano gli avvocati e i soldi dell’organizzazione. Mi aspetto, nel mio caso, qualche iniziativa del genere per pretestuoso “danno d’immagine” quando è invece questa situazione il vero danno. Poi ci sono i commissariamenti, le chiusure di sezioni, la conversione in sedi d’area. Porto un esempio personale, seguito alla mia denuncia: presidente da oltre 10 anni della sezione di Torino – che è diventata la più grande d’Italia in termini di soci e convenzioni – me la sono trovata, da un giorno all’altro, inglobata con una sezione minuscola. Pensate che il grande abbia inglobato il piccolo? No, esattamente il contrario: è stata affidata a persone molto vicine (e succubi) al sistema centrale. Sui provvedimenti di facciata basta l’esempio Genova che, ad oggi, vede ufficialmente come responsabile la Presidente Nazionale (che mai ha messo un piede in quel posto) ma risulta ancora pienamente operativo tutto il “personale” anomalo”.
Qual è il ruolo del direttore generale in questa situazione e come ha acquisito quelli che lei definisce “poteri assoluti”?
“Non è mai (fino al 3 luglio 2024) stato nominato direttore generale dall’Organo di amministrazione – continua Bravi – Copre ruoli ottenuti dai soggiogati consiglieri (non candidati dalla presidente per competenza ma per silente adesione) e dall’arrendevole presidenza nazionale che, per forse per età e certo per poca competenza imprenditoriale sull’attività di gestione, gli affida tutto: ha in mano ed esercita il controllo dell’albo soci, dei dati personali, degli accessi ai sistemi telematici e di posta elettronica, dell’ufficio stampa, della comunicazione, delle commissioni interne, della stesura di regolamenti, del codice etico e interpretazioni dello statuto. Prossimamente forse anche della tesoreria, visto che il sibillino ordine del giorno della prossima assemblea parla di variazioni regolamentari in quel settore, senza l’invio di proposte, dati e documenti. “Deus ex machina” da oltre 20 anni, con la disponibilità di uffici, poteri decisionali e soprattutto (a differenza dei dirigenti nazionali volontari e gratuiti, almeno quelli che lo sono per davvero) con un ottimo stipendio e nessuna necessità di essere periodicamente rinnovato tramite votazioni“.
Perché, secondo lei, è scomparsa la figura del tesoriere nazionale dagli organigrammi?
“Trattasi dell’ennesima dimostrazione di una oligarchia autoritaria in atto a livello nazionale – chiosa Bravi – Il tesoriere nazionale è una figura prevista dallo statuto per predisporre il bilancio di esercizio, il bilancio sociale e il bilancio di previsione, oltre ad amministrare il patrimonio dell’Ente e gestire le risorse economiche, organizzando modalità tecniche e operative per il loro impiego più efficace. Deve controfirmare certe delibere quando riguardano gestione del patrimonio mobiliare e immobiliare, contratti (inclusi quelli di lavoro) e convenzioni. Il fatto che anche nell’ordine del giorno della prossima assemblea nazionale sia sparita la consueta e doverosa dizione “a cura del tesoriere nazionale” nelle relazioni sembra indicativo che già alla data della convocazione (15 aprile) fossero previsti strategici “motivi personali” che probabilmente la renderanno assente. Per non farci spiegare tutte le anomalie che ho segnalato o perché è in ritiro in una dacia siberiana, come si usava per i capri espiatori in perfetto stile sovietico?“.
Come si spiega che i nomi e le motivazioni delle espulsioni non siano stati resi pubblici nonostante i regolamenti lo prevedano?
“Non me lo spiego e lo chiedo a gran forza da mesi – dice Bravi – come da anni chiedo la trasparenza assoluta nei bilanci, della ricaduta delle eredità e donazioni sui territori, della restituzione alle sezioni dell’IVA commerciale e via di seguito. Purtroppo è solo l’ultima dimostrazione di un andazzo che, dietro la retorica, vede una costante violazione di banali princìpi di lealtà e correttezza in un contesto associativo pavido, intimidito dalle ritorsioni sulle piccole situazioni locali, che puntualmente si verificano appena qualcuno alza la testa, senza alcuna occasione di confronto”.
Cosa si aspetta dall’assemblea del 15 giugno? Ritiene che ci siano possibilità concrete di fermare quello che lei definisce un processo autoritario?
“In verità non mi aspetto un granché per un vulnus nel processo democratico – risponde Bravi – Molti soci e sezioni mi hanno dimostrato solidarietà e sono certo che se il voto fosse esteso a tutti e territorialmente distribuito (magari rendendolo online) molte cose cambierebbero. Invece, si chiede a soci e volontari di partire a proprie spese per venire un giorno a Roma con Giubileo, il nuovo Papa, il concerto dei Duran Duran… Il mix perfetto per non trovare posto o con prezzi alle stelle. Problemi che non avranno i consueti e già più volte visti “precettati” da Lazio, Campania e Puglia, la cui costante presenza e unanime aderenza ai “consigli” centrali pare sia molto incentivata e, si mormora, spesata”.
Nonostante le sue denunce, il 5×1000 è aumentato nel 2024. Come interpreta questo dato?
“Benissimo! Le persone e i donatori, giustamente, premiano l’attività di ENPA – sottolinea Bravi – che è rappresentata sul territorio da tanti validissimi ed appassionati volontari, numericamente maggioritari. Deve essere chiaro: il problema non è ENPA nel suo complesso ma quella ristrettissima cerchia a livello nazionale che ha creato un sistema autoreferenziale e autocratico di cui le sezioni locali sono le prime vittime e di conseguenza gli animali di cui si occupano, perché si vedono sottrarre le risorse che gli spetterebbero di diritto e vedono utilizzata la loro meravigliosa immagine per incamerare fondi dall’uso incerto e personalistico. Questa assenza di danno mi conferma di essere riuscito nel mio intento principale: denunciare le storture senza arrecare danno alla mission di tutela degli animali”.
Se dovesse essere espulso, ha intenzione di continuare la sua battaglia legale e, magari, di fondare una nuova organizzazione?
“In quasi 40 anni, come singolo cittadino, divulgatore e formatore sulle tematiche di tutela animali, ho costruito una reputazione che per fortuna mi accompagna molto al di là della sigla di appartenenza – dice Bravi – specie quando viene a starmi stretta sul piano etico e morale. Molti mi seguono, mi contattano, mi apprezzano. Continuerò la mia battaglia per tornare alla purezza del volontariato, per smontare le macchine di potere politicizzate, ovunque siano. Se servisse, anche da fuori, dopo averci provato da dentro per anni. Esistono tante buonissime organizzazioni con le quali collaboro e continuo a farlo, perché quelli che valgono solo perché hanno una determinata etichetta addosso mi hanno sempre messo molta tristezza“.
Cosa chiede concretamente ai volontari dell’ENPA e come possono verificare la genuinità dei suoi addebiti?
“Ai volontari chiedo di uscire dal ricatto morale della bolla di omertà del ‘chi parla danneggia gli animali’ che favorisce chi persevera, se non addirittura campa, sul non cambiamento – conclude Marco Bravi – I volontari veri sono la forza e il futuro di tanti animali in difficoltà. Le mie non sono accuse ma il triste prendere atto delle situazioni che gli stessi volontari mi hanno spesso segnalato a mezza bocca perché ‘sennò mi chiudono la sezione’. Spero in un risveglio delle coscienze per rivendicare il primato del volontariato“.
Abbiamo provato a contattare Carla Rocchi, Presidente nazionale Enpa, per instaurare un contraddittorio alle accuse mosse dal suo dirigente. La legale rappresentate dell’ente, tramite la sua segreteria, ha diniegato il nostro invito perché in vista dell’assemblea del prossimo 15 giugno preferisce non pronunciarsi ma attendere che siano i soci del sodalizio a valutare la posizione di Marco Bravi, senza alcuna pressione o influenza da parte sua.