Eccetera ha attraversato il tempo e la storia per la connotazione generosamente altruistica che porta in sé. Ci ha sempre fatto dono del nostro tempo, ha recuperato a nostro favore lo spazio che altre attività reclamavano, ha esercitato quella funzione didattica di rispetto della nostra persona per cui l’indugio è deleterio
Già… E come “e”. Non prestiamo neppure più attenzione, neanche ci rendiamo conto di quante volte, mentre parliamo, infarciamo il nostro discorso di “e”: vocale che rappresenta la nostra congiunzione coordinativa copulativa, ovvero l’elemento che unisce indissolubilmente. In epoca di facili scissioni, di ripensamenti trancianti ed irrimediabili, affidiamo il compito di legare soggetti, pensieri, sentimenti ad una semplice “e” ed è lei sola che riesce ad accoppiare solidamente ciò che le categorie mentali tengono separate in una stabile opposizione: il bianco e il nero, ieri ed oggi, bello e brutto si congiungono e si fondono soltanto per l’esistenza di un’inosservata “e”.
Ma non è questo l’argomento a cui volevo assimilare la lettera e, piuttosto volevo proporre un sano, vitale “eccetera”. Il mio atteggiamento salvifico di parole perdute spazierebbe con pochi limiti nella scelta che mi potrebbe essere offerta, ma perché non darvi respiro e prendere in considerazione qualcosa a cui manca quel sapore retrò che ai miei occhi costituisce un valore aggiunto del dizionario? Eccetera conosce un uso non di molto inferiore alla nostra “e”, e tanto considerevole da fornire al nostro uso per comoda rapidità anche la propria abbreviazione “ecc.” o “etc.”.
E’ vocabolo pragmatico e sempiterno. Ne facciamo un uso ereditario tratto da un latino (et cetera = e tutto il resto) che si era fatto realistico, poiché il linguaggio giuridico e notarile non aveva tempo in esubero già nell’alto Medio Evo e quindi “et c.” era formula risolutiva, omnicomprensiva di qualsivoglia lungaggine. Ed ancor oggi è così, anche per noi.
Eccetera ha attraversato il tempo e la storia per la connotazione generosamente altruistica che porta in sé. Ci ha sempre fatto dono del nostro tempo, ha recuperato a nostro favore lo spazio che altre attività reclamavano, ha esercitato quella funzione didattica di rispetto della nostra persona per cui l’indugio è deleterio: concetto che con il trasformarsi del panorama economico, ha potuto raggiungere la vetta de “il tempo è denaro”.
Eccetera parola evergreen, sempreverde come direi io, attuale oggi come ieri per la sua rapida efficacia: un ecc. e posso dedicarmi ad altro.
Io, però, trovo che, per quanto goda di grandissimo favore, non sia sempre apprezzata nella sua totale ampiezza, che pure è enciclopedica poiché non esiste argomento che non possa essere disinvoltamente contratto da un ecc., infatti essa nel momento stesso in cui impone la sintesi è parola di apertura. Offre mondi ben più ampi di quelli che va chiudendo. Ci libera dalla realtà per tutto ciò che è “altro” di cui è soglia ben custodita. Siamo noi che abbiamo interpretato e trasformato quella abbreviazione veloce ed esaustiva nell’invito ad un passare oltre, ad un dedicarci a realtà diversa fors’anche utile. Invece il suo valore risiede proprio nel suo significato letterario inclusivo di tutto il resto di cui diventa contenitore per… la nostra libertà.
E’ in questo senso che, da vocabolo di estrema praticità, di totale onniscienza e di universale plurilinguismo si fa termine di affrancamento e di emancipazione della nostra interiorità. Basta recidere la monotonia, quella leopardiana noia che affligge il nostro pensiero (il nostro cuore?) può tornare a fissare, per poi aprirlo, un orizzonte, può ricominciare ad esplorare mondi che nemmeno la consapevolezza che “l’isola che non c’è” non c’è davvero è riuscita a toglierci, a viaggiare nell’impossibile (meglio in ciò che ci dicono sia impossibile) in una parola di colpo “eccetera” è il vocabolo che in modo benemerito ci consente di sognare. Dunque è possibile che alla fine si vada a scoprire che eccetera sia parola che contiene una doppia verità: di compressione del reale, di introduzione all’ideale, pertanto indispensabile a noi uomini per fini pratici, sì, ma, ancor più, per incursioni nel nostro animo, nell’irrazionale. Forse è un et cetera la parola ultima che ci restituisce alla nostra ingenuità, nel senso (latino anch’esso) di in-genuus = nato libero e non nato libero di, ma nato libero da e, così facendo, trancia, anziché superflue diciture, i nostri lacci con la realtà per lasciarci stupefatti sognatori. Che è diverso modo di dire prima creatori di noi stessi, poi creativi artefici di “altro”, magari (perché no?) artisti.
M.R.