ilgiornalepopolare vittime mafia

Dal dolore di due mamme germina il seme della speranza

Ieri, primo giorno di primavera, è stata la Giornata della memoria delle vittime di mafia. Oltre mille persone sono state uccise da mani criminali in questi anni. Tutto nasce dall’infinito dolore di due mamme.

Milano – 1.069. Un numero. Dietro il quale però ci sono nomi. Nomi di vittime innocenti delle mafie. Ieri, 21 marzo, si è celebrata la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo di questi martiri. L’iniziativa nasce dal dolore di due mamme. Il dolore più grande forse che un essere umano possa provare. Un genitore che si ritrova a perdere il proprio figlio è qualcosa di inimmaginabile, devastante, innaturale, irrecuperabile.

Le mamme da cui è partito l’impulso per celebrare questa giornata si chiamano Saveria, il cui figlio Roberto Antiochia, poliziotto, fu ucciso il 6 agosto 1985, insieme al commissario Ninni Cassarà, e Carmela, mamma di Antonino Montinaro, caposcorta di Giovanni Falcone. Il 6 agosto 1985, Roberto Antiochia scese dalla sua auto per aprire la portiera dell’Alfetta del giudice Cassarà. Vennero entrambi investiti dall’onda d’urto di 9 mitragliatori. In quel mai abbastanza maledetto 23 maggio 1992 a Capaci, la mafia ridusse a brandelli con 200 kg di esplosivo i corpi di Falcone, della moglie Francesca Morvillo e di 3 agenti della scorta, Antonino Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. In merito a quest’ultimo, rimbombano ancora le strazianti parole della moglie Rosaria Costa, intrise di dolore e urlate in chiesa durante il funerale, in faccia ai rappresentanti dello Stato italiano. 

Il dolore di Rosaria Costa, vedova di Vito Schifani.

Un anno dopo, in occasione del primo anniversario di tal profonda ferita, a Capaci c’è Don Luigi Ciotti, religioso da sempre in prima fila contro la mafia e a lui si avvicina una donna minuta: è proprio Carmela, mamma dell’assistente Antonio, è vestita di nero e piange. Soffre. La donna, stringendo le mani di don Luigi gli dice: «Sono la mamma di Antonino Montinaro, il caposcorta di Giovanni Falcone. Perché il nome di mio figlio non lo dicono mai? È morto come gli altri». In quel primo anniversario della strage la memoria di suo figlio Antonio, e dei suoi colleghi Rocco e Vito, veniva semplificata e ridotta all’espressione “i ragazzi della scorta”. Da questa necessità, di conferire uguale dignità a ogni morto per mano delle associazioni criminali e di ricordarne nome e cognome, sorge l’istituzione della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. 

La strage di Capaci.

Dal 1996, ogni anno, in una città diversa, un lungo elenco di nomi e cognomi viene declamato, scandendo una memoria che deve tradursi in impegno quotidiano. Per farli vivere ancora, per non farli morire mai. L’edizione di quest’anno si è svolta a Milano. Il corteo è partito alle 9 da corso Venezia ed è arrivato alle 11 in piazza Duomo. Migliaia i presenti. Di questi, almeno 500 sono, mamme, figli, nipoti, familiari delle persone innocenti uccise dalla mafia e giunti da varie parti d’Italia nel capoluogo lombardo.

L’Alfetta della scorta di Ninni Cassarà crivellata di colpi.

In base a un sondaggio condotto da Ipsos, emerge però che c’è tanto da fare a tal proposito. Innanzitutto la scarsa conoscenza, solo ¼ degli intervistati afferma di conoscere la Giornata (prevalentemente tra coloro che appartengono alla Generazione Z e residenti al Sud e Isole). Tra l’opinione pubblica, più del 40% afferma di non avere un’idea precisa del numero delle vittime innocenti. Ed è ancora è la Generazione Z la più informata (46%). Occorre quindi fare di più, tutti, affinché la conta delle anime innocenti si fermi a 1.069.

E chissà cosa penseranno Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (sì, amo pensare che ci stiano guardando), dei pacchiani quanto maldestri tentativi di sbriciolare l’istituto del 41-bis da parte di parvenu della politica, lacché e giornalisti tirapiedi al soldo dei potenti. Istituto dietro il quale c’è un lavoro titanico, durato anni, fatto da professionisti della Giustizia, persone che la mafia la conoscevano, la vivevano da dentro, ne intuivano debolezze e punti di rottura. E che hanno dedicato la loro vita, fatta di sacrifici fuori portata per il 99% della popolazione, alla lotta alla criminalità organizzata.

Senza dimenticarci mai che le vittime della mafia sono molte di più di quel 1.069, perché il dolore dei loro cari, forse, è anche peggio.

Dedicato a Saveria Antiochia e Carmela Montinaro.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa