Crosetto difende Toti: “Carcerazione preventiva usata come intimidazione”

Intanto si fa strada anche nel centrodestra l’idea delle dimissioni: ai domiciliari difficile per il governatore continuare a amministrare.

Roma – Si allarga il fronte di chi chiede le dimissioni del governatore della Liguria Giovanni Toti, anche se nel centrodestra la parola d’ordine resta “garantismo”. Il fattore tempo e i risvolti dell’inchiesta da qui a un mese saranno comunque cruciali per le sorti politiche di Toti. Con il passare dei giorni, anche se la linea garantista regge, si fa sempre più strada la convinzione che il governatore non possa reggere a lungo in queste condizioni. Qualcuno lo dice in chiaro, molti – soprattutto dentro Fratelli d’Italia – a microfoni spenti. “Sulle dimissioni di Toti vediamo cosa scaturisce dalle indagini”, afferma il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alessandro Morelli (Lega).

E anche in Forza Italia, Giorgio Mulè deve ammettere: “Se un presidente di Regione è agli arresti domiciliari è abbastanza difficile che possa continuare ad amministrare la Regione”. A difesa del governatore contro i magistrati interviene, con veemenza, il ministro della Difesa Guido Crosetto: “Con la logica usata per Toti (a cui non viene contestato alcun vantaggio personale e privato) si possono arrestare la quasi totalità dei sindaci, dei presidenti di Regione, dei dirigenti pubblici. Suppongo potrebbero anche arrestare la maggior parte dei magistrati. La carcerazione preventiva non nasce come strumento di intimidazione o per aumentare l’audience di un’inchiesta. Nasce per impedire la reiterazione di reati gravi, la fuga o l’inquinamento delle prove”.

Giorgio Mulé

Non è questo il caso, fa notare Crosetto, “tanto più che sono passati 5 mesi dalla richiesta di misure cautelari alla loro esecuzione e che, come ha dichiarato lo stesso procuratore, l’accertamento dei fatti risale ad oltre un
anno fa”,
attacca l’esponente di punta di Fdi. Mulè spiega che “la decisione” di Toti arriverà “all’esito di alcuni passi procedurali giudiziari e cioè l’eventuale revoca dell’arresto da parte del giudice o se, magari, la misura
dovesse essere affievolita a fronte dei chiarimenti forniti”. Sul caso interviene Lucio Malan, capogruppo al Senato di FdI: “Noi rispettiamo il lavoro della magistratura che per adesso ha preso delle misure cautelari”.

Ma nel partito di Giorgia Meloni i più non vogliono esporsi: l’inchiesta è pesante e il mantra è fare chiarezza al più presto, per evitare anche che il caso pesi sulle europee. Un appuntamento elettorale cruciale per la premier, in cui si teme in particolare il fattore astensionismo. Intanto il ministro Guido Crosetto rilancia le perplessità sulla tempistica degli arresti: “Quando vedo queste cose a un mese dalle elezioni qualche dubbio mi viene”. In FI Antonio Tajani resta fermo nel difendere i valori del garantismo: Toti “può continuare a lavorare, poi si vedrà”. Serve aspettare, dunque. Ma per quanto? Nei corridoi di Montecitorio, dove da qualche giorno l’inchiesta ligure è l’argomento principale, qualcuno parla di due settimane, qualcun altro di un mese al massimo.

Maurizio Lupi

Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati (partito di cui il governatore ligure fa parte) si sbilancia: “Sono convinto che gli arresti potranno essere revocati”. Se la maggioranza va in ordine sparso, il pressing delle
opposizioni per le dimissioni si intensifica di giorni in giorno. “C’è una responsabilità politica, indipendente dalla vicenda personale. È una follia che rimanga lì”, attacca il leader del M5s Giuseppe Conte. Per Carlo Calenda (Azione) Toti “non si deve dimettere per le inchieste”, ma è “la condotta eticamente inaccettabile” che deve condurlo a “trarre le conseguenze”.

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