Indagini frammentarie e tardive hanno contribuito non poco alla ricerca del colpevole e dei suoi complici. Purtroppo gli scarsi indizi in mano agli inquirenti non avevano permesso di incriminare l’unico sospettato. Ed i suoi degni compari.
E’ il primo settembre del 1992, ci troviamo a Ronta, una frazione di Cesena. Sono le 13.55 e Cristina Golinucci, ragioniera di 21 anni, dopo aver pranzato, saluta i genitori per recarsi al convento dei Frati Minori Cappuccini di Cesena, dove aveva appuntamento con Don Lino Ruscelli alle 14.30. Quella sarà l’ultima volta che la vedranno perché Cristina non farà più ritorno a casa.
La madre della ragazza, Marisa Degli Angeli, racconta di aver avvertito un brutto presentimento nel primo pomeriggio. Una strana sensazione come se le sue mani come fossero diventate di burro. Cristina avrebbe dovuto sostenere un colloquio di lavoro nel tardo pomeriggio per poi rientrare a Ronta ed andare con i familiari alla festa del Millenario. Ma alle 19, non vedendola tornare, i genitori iniziarono a preoccuparsi. Marisa e suo genero si recarono in convento, sul colle Garampo, per un veloce sopralluogo ma non trovarono nulla di particolare. Men che meno una traccia della ragazza. Sarà un amico, più tardi, a notare la Fiat 500 azzurra di Cristina parcheggiata nel piazzale del convento. L’auto era chiusa a chiave e con all’interno alcuni libri.
Alle 22 la madre di Cristina ritornò in convento ma riuscì a parlare solo con Padre Renato il quale riferì alla donna che Don Lino era fuori sede e che, nel pomeriggio, aveva aspettato, inutilmente, la giovane fino alle 15 per poi andarsene. Ancora più angosciati i poveri genitori si rivolsero ai carabinieri che gli suggerirono di non allarmarsi in quanto, secondo i militari, quella non era altro che una scappatella magari al seguito di un bel giovanotto. I carabinieri consigliarono ai coniugi Golinucci di non preoccuparsi perché la figlia sarebbe tornata di lì a poco. Il 2 settembre Marisa riuscì a parlare con Don Lino che le ribadì quanto detto la sera prima dall’altro prete. Il giorno seguente, il 3 settembre, i familiari della ragazza si diressero al convento in compagnia di un cane dal fiuto straordinario ma Don Lino, inspiegabilmente, si rifiutò di lasciarli entrare chiudendo la porta del convento a doppia mandata. Cinque settimane dopo scomparve un’altra ragazza cesenate: la diciottenne Chiara Bolognesi che, dopo un pomeriggio di studio a casa di un’amica, doveva recarsi a portare le medicine alla nonna che l’attese invano. Le due scomparse avevano una matrice comune?
Don Ettore Ceccarelli, parroco di Ronta, ricevette una telefonata anonima durante la quale una voce maschile gli confessò che entrambe le ragazze erano morte e che, mentre il cadavere di Chiara sarebbe stato gettato nel fiume Savio, quello di Cristina avrebbe subito la stessa sorte nel Tevere, a Roma, a poca distanza da un convento di Cappuccini dove alloggiavano due frati di Cesena. Il corpo di Chiara fu recuperato nel Savio il 30 ottobre e si ipotizzò un suicidio ma il procuratore di Forli’, Alessandro Mancini, escluse ogni ricerca lungo il fiume della capitale. Nessuno cercò Cristina negli anni successivi fino a quando, nel 1995, grazie alla trasmissione di Rai 3 ”Chi l’ha visto?”, venne resa nota la testimonianza di una donna aggredita e stuprata un anno prima da Emanuel Boke nelle vicinanze del convento.
Boke era un immigrato proveniente dal Ghana che faceva il muratore ed alloggiava nel convento. L’uomo si trovava nel convento quando scomparve Cristina. La procura di Forlì, a questo punto, aprì un’indagine sul maggiore e unico sospettato della vicenda che, nel frattempo, venne condannato a sette anni di reclusione per stupro e tentato omicidio. Nell’agosto del 1997, dunque assai tardivamente, il convento dei Cappuccini vene perquisito ma all’interno della struttura religiosa gli inquirenti non trovarono nulla men che meno la minima traccia della ragazza. Qualche tempo dopo padre Lino dichiarò ai carabinieri che proprio Boke gli aveva confessato di aver ucciso Cristina e di averne poi occultato il cadavere.
Il muratore ghanese durante il successivo interrogatorio con gli inquirenti negava qualsiasi addebito negando di aver fatto al prete qualsiasi ammissione. Boke fu scarcerato nel 1998 e i genitori e la sorella di Cristina lo invitarono a pranzo, pur di ottenere una sua confessione e sapere dove poter piangere la loro congiunta, ma a nulla valse il generoso invito. Il 29 marzo del 2004 venne dichiarata ufficialmente la presunta morte di Cristina Golinucci. La madre, nel frattempo diventata presidente del comitato Penelope Emilia Romagna, associazione nazionale delle famiglie e degli amici delle persone scomparse Onlus, a seguito del ritrovamento dei resti di Elisa Claps all’interno della chiesa della Santissima Trinità di Potenza, lanciò un appello chiedendo a gran voce che venissero fatte nuove ed approfondite perquisizioni nel convento di Cesena.
Il nuovo padre guardiano dei Cappuccini, Giancarlo Galli, ai microfoni di ”Chi l’ha visto?” manifestò la sua massima disponibilità nei confronti della magistratura per le nuove ricerche. Nel maggio del 2010 il Pm Alessandro Mancini, i tecnici della polizia scientifica di Bologna e i colleghi di Cesena, eseguirono ricerche certosine per tre giorni utilizzando sofisticate apparecchiature come il georadar e il metaldetector, raggiungendo persino i cunicoli sotterranei. Furono ritrovate in effetti delle ossa nella cripta ma non erano della ragazza scomparsa ma di alcuni frati che avevano vissuto nella struttura molti anni prima e che dopo la morte erano stati sepolti nei sotterranei del cenobio. Il 28 gennaio del 2011 lo stesso Pm chiese l’archiviazione del procedimento penale facendo ripiombare la triste vicenda nell’oblio.
Marisa Degli Angeli ha sempre creduto nella colpevolezza di Boke e che i resti di sua figlia si trovassero nascosti in quel convento. Non si è mai arresa in questi 28 anni di ricerche disperate, di depistaggi, di telefonate inutili e lettere di mitomani balordi. Le indagini iniziali si rivelarono tardive e quasi del tutto frammentarie: non furono rilevate nemmeno le impronte digitali sull’auto della ragazza e chiunque abbia fatto del male alla povera Cristina ebbe tutto il tempo di nascondere non solo il cadavere ma, soprattutto, qualsiasi indizio. Cristina Golinucci avrà mai giustizia?