Cresce la povertà sanitaria: oltre 500mila italiani senza cure

Il nuovo Rapporto rivela difficoltà di accesso alle terapie, con sempre più famiglie costrette a chiedere aiuto per farmaci e assistenza.

Quest’anno, 501.922 persone (8,5 residenti su 1.000) si sono trovate in condizioni di povertà sanitaria. Significa che hanno dovuto chiedere aiuto a una delle 2.034 realtà assistenziali convenzionate con Banco Farmaceutico per ricevere gratuitamente farmaci e cure che, altrimenti, non avrebbero potuto permettersi. Rispetto alle 463.176 del 2024, c’è stato un aumento dell’8,4%.

Le persone in condizioni di povertà sanitaria sono prevalentemente uomini (pari al 51,6% del campione, contro il 48,4% delle donne) e persone in età adulta (18-64 anni, pari al 58%). Particolarmente importante la quota di minori, che sono 145.557 (pari al 29%), più degli anziani che corrispondono al 21,8% (109.419). Considerando le condizioni di salute, i malati acuti (56%) superano i malati cronici (44%).

Nel 2024 (ultimi dati AIFA disponibili) la spesa farmaceutica complessiva delle famiglie è pari a 23,81 miliardi di euro, 171 milioni di euro in più (+0,7%) rispetto al 2023 (quando la spesa era di 23,64 miliardi). Di questi, tuttavia, solo 13,65 miliardi di euro (il 57,3%) sono a carico del SSN (nel 2023 erano 12,99, pari al 56%).

Restano quindi 10,16 miliardi (42,7%) pagati interamente dalle famiglie (nel 2023, erano 10,65, pari al 44%). Nonostante tra il 2024 e il 2023 si registri un calo di questa tipologia di spesa (-4,6%), in sette anni (cioè, tra il 2018 e il 2024) è cresciuta di 1,78 miliardi di euro (+21,26%). Nel 2018, infatti, la quota totalmente a carico dei nuclei familiari era pari a 8,37 miliardi di euro. La spesa non coperta dal SSN riguarda tutte le famiglie, anche quelle in condizioni di povertà, che devono pagare interamente il costo dei farmaci da banco a cui si aggiunge (salvo esenzioni) il costo dei ticket.

È quanto emerge dal 12° Rapporto Donare per curare – Povertà Sanitaria e Donazione Farmaci realizzato da OPSan – Osservatorio sulla Povertà Sanitaria (organo di ricerca di Banco Farmaceutico). I dati sono stati presentati il 2 dicembre 2025 in un convegno promosso da Banco Farmaceutico e AIFA. Il Rapporto è stato realizzato grazie al contributo incondizionato di IBSA Italy e ABOCA.

Nel 2024 (ultimi dati Istat disponibili), quasi una persona su dieci (9,9%) ha rinunciato a visite o esami specialistici nei 12 mesi precedenti. Il 6,8% della popolazione ha rinunciato, prevalentemente, per le lunghe liste d’attesa, mentre il 5,3% (pari a 3,1 milioni di persone) per ragioni economiche (dato in crescita dell’1,1% rispetto al 2023). «I dati sulla povertà sanitaria ci restituiscono, anche quest’anno, un quadro preoccupante per migliaia di famiglie.

Banco Farmaceutico aiuta a curarsi chi non può permetterselo, praticando, grazie al sostegno e insieme a migliaia di volontari, farmacisti, aziende e cittadini, la gratuità. Ma una cura costituita da un’autentica attenzione alle esigenze e alla dignità di chi si trova in condizioni di povertà, non può limitarsi alla pur necessaria risposta immediata al bisogno: deve comprenderlo in fondo, anche attraverso un lavoro di approfondimento culturale e scientifico. Perché più profonda è la conoscenza, più efficaci saranno le risposte», ha dichiarato Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico ETS.

La tutela della salute, sancita nell’art. 32, è l’unico diritto espressamente qualificato come «fondamentale» dalla Costituzione italiana. Questo risultato non è casuale, ma si deve all’impegno, in Assemblea costituente, di tre grandi medici, che erano rimasti del tutto insoddisfatti della blanda formulazione inizialmente proposta, nel- la bozza del testo della Costituzione, dalla Commissione dei 75. Nell’assemblea plenaria fecero quindi sentire la loro voce. E fu una voce molto autorevole perché Caronia, Merisi e Cavallotti erano medici di fama mondiale, appartenenti a tre partiti diversi, rispettivamente DC, PSI e PCI, e spesero, all’unisono, argomenti a cui nessun orecchio dei Padri costituenti poteva restare insensibile.

Trasversale fu anche l’impegno che permise a Tina Anselmi di varare quel sistema universalistico che, dalla sua istituzione al 2018, ha permesso un innalzamento di ben dieci anni della vita media degli italiani. Oggi, però, la sanità italiana rischia una deriva “americanizzante”, nel senso che quella che è stata la sanità di tutti, potrebbe diventare la sanità di pochi, appannaggio esclusivo di quelli che possono permettersi di pagarla1. Lo confermano i dati sulla crescente povertà sanitaria che il Rapporto mette in evidenza, che preoccupano soprattutto per il ritmo con cui questa povertà, di anno in anno, sta crescendo. Quali sono le cause?

Sul sistema italiano pesano, innanzitutto, i tagli avvenuti, per circa quaranta miliardi di euro, nel periodo tra il 2012 e il 2019. I tagli alla sanità rimangono silenziosi nel momento in cui vengono praticati (il cittadino non li avverte, perché non è toccata la busta paga o l’immediatezza del servizio), ma fanno un rumore assordante quando, dopo anni (ed è l’attualità che stiamo vivendo), occorre sostituire le macchine per la Tac o per le risonanze magnetiche obsolete, fare i conti con le nuove possibilità di cura, garantire il turn over con chi è andato in pensione ecc.

Per questo la Corte costituzionale ha, con la sent. 169/2017, elaborato, ribadendola nella più recente sent. n. 195/2024, la nozione di «spesa costituzionalmente necessaria», affermando che devono essere prioritariamente tagliate quelle spese che non sono riconducibili a principi costituzionali, come quello della tutela della salute. Le risorse però non sono tutto nella sanità, perché conta moltissimo anche la forza del pensiero e delle idee, come appunto dimostra l’origine dell’art. 32 Cost. o, in negativo, la vicenda degli ospedali e delle Case di comunità, che, volute dal PNRR nel 2021 e finanziate con circa 16 miliardi di euro, rischiano di essere destinate a rimanere spettralmente vuote, a causa della grave mancanza di medici e infermieri che affligge la sanità pubblica nel nostro Paese. Dai territori emergono i disagi: la mancanza di integrazione tra i professionisti, la presenza di vincoli normativi che ostacolano l’attività della nuova figura dell’infermiere di famiglia, l’assenza di formazione per il lavoro in équipe.

In pochi italiani si sono accorti che ormai esiste quasi un terzo delle Case di comunità previste dal PNRR e si può dubitare fortemente che gli standard previsti dal citato DM 77 del 2022 siano diventati una realtà. Non è un risultato che rassicura. Non molto diversa è la situazione degli ospedali di comunità, che dovrebbero svolgere «una funzione intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero, con la finalità di evitare ricoveri ospedalieri impropri o di favorire dimissioni protette in luoghi più idonei al prevalere di fabbisogni sociosanitari, di stabilizzazione clinica, di recupero funzionale e dell’autonomia e più prossimi al domicilio». Anche qui la grave carenza strutturale di personale rappresenta l’ostacolo maggiore a rendere davvero operative queste strutture, che pure, come dimostra il Rapporto, sarebbero essenziali per un cambio di paradigma che, in funzione delle nuove cronicità, riporti al centro la medicina territoriale.

Le difficoltà che si stanno incontrando sono emblematiche di una riforma interamente calata dall’alto (non è forse un caso che con le Regioni si sia registrata una mancata intesa registrata sul DM 77/2022) e scarsamente condivisa con gli attori istituzionali della sanità regionale2 e, in particolare, con il mondo del Terzo settore. Si corre il grave rischio di creare nuove cattedrali nel deserto di una sanità già gravemente in crisi. Di fronte a questa situazione appare davvero poco lungimirante che la Missione 6 non prescriva un adeguato coinvolgimento del Terzo settore, con una grave carenza in termini di sussidiarietà orizzontale, nonostante la Corte costituzionale nella sentenza n. 131 del 2000 abbia fortemente valorizzato le possibilità offerte dall’art. 55 del Codice del Terzo settore, in termini di co-programmazione e di coprogettazione.

Così, al di là del nome, quella società solidale di cui è ricca la nostra storia e il nostro presente, rischia di rimanere esclusa dalle nuove case e ospedali “di comunità”, con una gravissima perdita in termini di potenzialità, perché il sistema sanitario nel suo complesso avrebbe «beneficiato dal contributo di conoscenze e competenze mediante il coinvolgimento attivo di quei soggetti del Terzo settore dotati di un rilevante radicamento territoriale, attivi in una consolidata pratica di co-programmazione, co-progettazione, convenzionalità con il sistema pubblico regionale e locale, e da tempo impegnati in specifiche esperienze di integrazione socio-sanitaria (l’esperienza delle case della salute)»3 . Il Rapporto conferma che la voce del Terzo settore avrebbe potuto farsi sentire, soprattutto in questo ambito. Non è stata ascoltata. Ma forse non è ancora troppo tardi per iniziare a farlo.