Così parlò Giancarlo Romano, l’astro nascente di Cosa Nostra stroncato a 37 anni

Colpo al clan di Brancaccio con 8 arresti, ricostruito lo scenario in cui sarebbe maturata l’uccisione del giovane boss.

Palermo – “Noi abbiamo degli ideali dentro, che non facciamo morire mai – diceva ai suoi complici – e noi preghiamo il Signore che certe cose non finiranno mai… noi siamo contro lo Stato, siamo contro la polizia”. Così parlò Giancarlo Romano, l’astro nascente di Cosa Nostra freddato lunedì scorso. I contorni dell’omicidio e il contesto in cui sarebbe maturato, sono emersi con il blitz di oggi che ha portato a 8 arresti di componenti del clan di Brancaccio, che si estende anche allo Sperone, a Roccella e in corso dei Mille. Gli indagati sono tutti in carcere. Così i pezzi del puzzle in cui è maturata l’uccisione del giovane boss e il tentativo di eliminare Alessio Caruso in via XXVII Maggio, iniziano a assumere figure più nitide.

Gli arresti si sono resi necessari per evitare ritorsioni e vendette. Romano aveva 37 anni, ma era già un astro nascente del mondo della criminalità. Quel paradosso tra preghiere e spargimento di sangue che convivono, insito nella mafiosità emerge prepotente dalle parole che rivolgeva agli affiliati. Ideali da non calpestare, e con l’aiuto del Signore, il potere di non far morire quei principi intrisi di preghiera e morte. “Siamo contro lo Stato, siamo contro la polizia“, diceva.

La scena del crimine dell’omicidio di Romano

Parole inquietanti, intercettate dai carabinieri del nucleo Investigativo a ottobre scorso. Poi la parabola dell’astro nascente che dopo 4 mesi finisce sotto i colpi di quelle ritorsioni e vendette che muovono gli assetti criminali. Intanto, i poliziotti della Squadra mobile e della Sisco (la sezione investigativa del servizio centrale operativo) indagavano sui nuovi mafiosi della zona est di Palermo. Sulle microspie posizionate nei posti chiave del sodalizio, echeggiavano le parole di Romano, con la preghiera e senza paura. Erano in procinto di arrestarlo, ma la morte del giovane boss è arrivata prima della cattura.

Ad ucciderlo, lunedì scorso un galoppino delle scommesse che era in compagni del figlio e non voleva più pagare il pizzo ai boss: Camillo e Antonio Mira, padre e figlio, il primo accusato dell’omicidio del boss e del ferimento del suo socio Alessio Caruso, il secondo solo del ferimento. E dall’inchiesta che ha portato agli 8 arresti di oggi al Brancaccio, emerge anche la gestione di scommesse on line abusive, proprio il business che avrebbe determinato uno scontro tra la famiglia Mira e Alessio Caruso, rimasto gravemente ferito nell’agguato di lunedì scorso in cui ha perso la vita Romano.

La parte più inquietante della storia e della ricostruzione degli inquirenti è che Cosa nostra punta alla riorganizzazione, nonostante arresti, processi e sequestri. Un mandamento, quello di Brancaccio, che resta particolarmente attivo, nonostante i diversi blitz messi a segno dalle forze dell’ordine negli ultimi anni. Soltanto a gennaio sono arrivate 30 condanne proprio per l’imposizione del pizzo a tappeto nella zona e qualche settimana fa la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio di 31 tra imprenditori e commercianti che sono accusati di favoreggiamento: nonostante le prove evidenti, avrebbero negato di aver ricevuto richieste estorsive.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa