Consulta: il reddito di cittadinanza “non ha natura assistenziale”

Per i giudici della Corte Costituzionale è una misura di politica attiva. Il requisito della pregressa residenza va ridotto da 10 a 5 anni.

Roma – Il Reddito di cittadinanza, abrogato a decorrere dal primo gennaio 2024 “non ha natura assistenziale, non essendo diretto ‘a soddisfare un bisogno primario dell’individuo’: si tratta, infatti, di una misura di politica attiva per l’occupazione, di carattere temporaneo, soggetta a precisi obblighi e soprattutto a rigide condizionalità che, se disattese, determinano il venir meno del diritto alla prestazione”. È quanto ha ribadito la Corte costituzionale, in termini di interpretazione costituzionalmente orientata, nella sentenza numero 31, depositata oggi, precisando che a questa conclusione non è “d’ostacolo la recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 29 luglio 2024.

In tale pronuncia, infatti, “la Corte di giustizia, come di consueto, ha interpretato il diritto dell’Unione, ma non ha operato un sindacato sull’esattezza, o no, dell’interpretazione del diritto nazionale, quale offerta dal giudice del rinvio pregiudiziale”, che invece aveva ritenuto la natura assistenziale del Rdc. Del resto, “se è indiscutibile che alla Corte di giustizia spetta l’interpretazione dei trattati e del diritto derivato, al fine di assicurarne l’uniforme applicazione in tutti gli Stati membri, è parimenti indiscutibile che l’interpretazione della Costituzione è riservata a questa Corte, così come la funzione di nomofilachia del diritto nazionale lo è alla Corte di cassazione, essendo orientate ad assicurare anche la certezza del diritto”.

La sentenza ha quindi precisato che non può essere accolta la questione prospettata in via principale dal giudice rimettente, che porterebbe, in sostanza, ad annullare completamente il requisito di radicamento territoriale in base alla residenza, rendendo sufficiente solo quello, per i cittadini degli Stati membri, del diritto di soggiorno. Non trattandosi di una prestazione meramente assistenziale, un requisito di radicamento territoriale non determina, di per sé, una violazione del divieto di discriminazione indiretta e delle relative disposizioni del diritto dell’Unione, che pure vengono in considerazione nella questione in esame. Per quanto un tale requisito ponga di fatto il cittadino italiano in una posizione più favorevole, “non di meno la discriminazione indiretta ben può ritenersi giustificata quando sussistono ragioni che la rendono necessaria e proporzionata”, come affermato dalla stessa Corte di giustizia in più occasioni.

A differenza di altre misure, come l’assegno sociale che la Corte ha ritenuto correlate allo “stabile inserimento dello straniero in Italia, nel senso che la Repubblica con esse ne riconosce e valorizza il concorso al progresso della società, grazie alla partecipazione alla vita di essa in un apprezzabile arco di tempo” (sentenza numero 50 del 2019 e ordinanza numero 29 del 2024), il progetto di inclusione previsto dal Rdc non guarda, come invece le suddette misure, al concorso realizzato nel passato, ma alle chances dell’integrazione futura, mirando alla prospettiva dello stabile inserimento lavorativo e sociale della persona coinvolta.

In quest’ottica il gravoso termine del pregresso periodo decennale non appare ragionevolmente correlato alla funzionalità precipua del Rdc e si pone in violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza e proporzionalità di cui all’articolo 3 della Costituzione (con assorbimento di tutte le altre questioni). La ragionevole correlazione con la misura del Rdc si realizza, invece, sostituendo il termine decennale con quello di cinque anni, che si presenta, per diverse ragioni, “come una grandezza pre-data idonea a costituire un punto di riferimento presente nell’ordinamento”. 

Una misura che di certo è stata anche al centro di uno scontro politico. Ogni giorno emergono da un capo all’altro d’Italia notizie e inchieste sulle truffe legate al reddito di cittadinanza. Cifre astronomiche, quasi da record, che alimentano le polemiche della maggioranza contro gli “artefici” di questa misura. Il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Galeazzo Bignami, ha fatto notare tempo fa come “a distanza di anni, non cessano di venire alla luce gli effetti disastrosi dei provvedimenti ideati dal Movimento Cinque Stelle. Le truffe legate al Reddito di Cittadinanza, che hanno portato alla sottrazione di 665 milioni di euro”, e che “rappresentano un attacco gravissimo al principio di solidarietà sociale su cui si fonda l’Italia”.

Da quando il reddito è stato introdotto, traccia il bilancio Bignami, “le forze dell’ordine hanno effettuato 75.910 controlli, di cui il 79,5% ha portato alla scoperta di irregolarità. Fa riflettere – ha aggiunto – come dalle analisi risulta che circa l’80% dei fondi verificati dalla Guardia di Finanza sia stato indebitamente percepito. Questa situazione si somma alla gravità delle frodi legate ai bonus edilizi che, come rilanciato dal quotidiano il Foglio, riguardano oltre 15 miliardi di euro di illeciti. Ecco il risultato – ha concluso – delle politiche populiste demagogiche targate 5 Stelle: strumenti economici che potevano sostenere famiglie e imprese, finiti nelle mani di disonesti senza scrupoli”.

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