Caso Mollicone /1, una sentenza che non fa giustizia. La battaglia per la verità continua

Il verdetto d’appello ha ritenuto insufficienti le ragioni dell’accusa e mandato assolti i Mottola. Dopo 23 anni ancora non sappiamo chi ha ucciso Serena.

Giustizia non è fatta. La sentenza d’appello per l’omicidio di Serena Mollicone, che ha mandato assolta come già in primo grado la famiglia Mottola, non mette la parola fine su uno dei casi di cronaca nera più angoscianti e controversi degli ultimi anni. Il brutale omicidio resta impunto, il killer o i killer della giovane di Arce a piede libero, i familiari della vittima e la sorella del vicebrigadiere morto suicida dopo aver testimoniato sul caso, come anche i tanti manifestanti con la maglietta con la scritta “Serena vive” presenti fuori dall’aula di giustizia, continuano a reclamare una verità che dopo 23 anni dal fatto ancora non esiste.

«Tanto c’è la giustizia divina!»ha gridato uno dei manifestanti alla lettura della sentenza. “Sono amareggiata. Questa non è giustizia” ha commentato amara Consuelo Mollicone, sorella di Serena. Deluso anche lo zio Antonio Mollicone, che però non molla di un millimetro: «Come familiare di Serena – ha aggiunto – ho il dovere di fare in modo che la giustizia e la verità vengano a emergere, perché mi sembra che non siano ancora emerse». Parole amare anche quelle di Maria Tuzi, la figlia del vicebrigadiere Santino morto suicida nel 2008 dopo aver dichiarato di aver visto Serena entrare in caserma e di non averla più vista uscire: “Mi aspettavo una condanna. In aula gli elementi ci sono stati, i testimoni hanno avuto coraggio e hanno detto quello che sapevano. Il cerchio si poteva perfettamente chiudere. Quindi è stata veramente una seconda delusione».

Serena Mollicone, uccisa a 18 anni il primo giugno del 2001

In effetti l’accusa era convinta di avere in mano tutti gli elementi per ribaltare il verdetto assolutorio di primo grado. Per questo aveva chiesto pene severe: 24 anni per Franco Mottola, 22 per la moglie Annamaria e 21 per il figlio Marco. Secondo la ricostruzione offerta nella requisitoria, Serena Mollicone, 18 anni, è viva quando la mattina del primo giugno 2001 entra nella caserma dei carabinieri di Arce e affronta per l’ultima volta Marco Mottola. Discutono una volta di più su questioni relative agli stupefacenti. Come affermato dal fidanzato di Serena, la ragazza intendeva denunciare il giovane per spaccio. All’apice del confronto verbale, Mottola cede a un raptus e le sbatte la testa contro una porta. La ragazza ora è lì, a terra, le sue accuse sono temporaneamente messe a tacere ma per quanto? Alla scena sono presenti i genitori di Marco, Annamaria e Franco, quest’ultimo maresciallo dell’Arma. Invece di soccorrere Serena, sempre in base all’impianto accusatorio, la famiglia mette in atto un piano per salvaguardarsi. La ragazza viene legata con “un nastro adesivo lungo circa 15 metri, più volte girato su se stesso e con molta precisione”. Quindi i genitori del giovane portano fino in fondo il proprio piano: imbavagliata e legata, Serena Mollicone viene abbandonata nel bosco di Fonte Cupa dove sarà ritrovata morta.

La ricostruzione è stata impegnativa e le evidenze scientifiche sembravano convergere nel definire la narrazione dell’accusa come l’unica davvero plausibile per spiegare la morte della ragazza di Arce. «Nel caso dell’omicidio di Serena Mollicone — hanno affermato i magistrati — gli elementi narrati non offrono mere ipotesi o giudizi di verosimiglianza, ma corrispondono a dati di fatto certi, gravi, precisi e concordanti, trattandosi di dati convergenti verso l’identico risultato». I giudici però l’hanno giudicata infondata. Ma la battaglia per la verità continua, anche in memoria di Guglielmo Mollicone, il padre della vittima, morto nel 2020 senza aver visto giustizia per la figlia.

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