Ha creato il Berlusconi Market per fare affari nel dark web. Aveva 3 milioni di dollari in bitcoin, ha utilizzato i genitori come prestanome.
Roma – Carmelo Miano, l’hacker 24enne arrestato per aver violato gli accessi ai server del ministero della Giustizia non era un impiegato qualunque. Man mano che le indagini vanno avanti emergono sviluppi inquietanti che hanno sullo sfondo un vero e proprio mercato nero del web. Gli inquirenti stanno cercando di ricostruire le mosse dell’informatico della Garabatella che ha tenuto sotto scacco pm e Procure. Intanto si è scoperto che aveva tre milioni di dollari in bitcoin. Parlava con i russi e avrebbe creato un mercato illegale virtuale dal nome prestigioso: Berlusconi Market. E gli investigatori della polizia postale lo hanno individuato quando ha commesso un errore esiziale: si è collegato in chiaro a un sito porno.
Miano ha cominciato a infiltrarsi nei sistemi informatici del tribunale di Gela e poi in quelli della procura di Brescia e del ministero della Giustizia. L’obiettivo? Sapere a che punto erano le indagini nei suoi confronti per i reati di truffa a un’assicurazione e per traffico di criptovalute. Da lì la tentazione di violare anche i siti di Guardia di Finanza, Tim, Telespazio. E quale occasione più ghiotta se non fare affari nelle pieghe del dark web tra armi e droga? Ma poi il passo falso con la sbirciata al sito porno e il gioco è finito. Ma quello che inquieta di più sono i presunti legami con la Russia che si possono evincere dai suoi click. “Russian Market 99 è un sito di e-commerce del Criminal Hacking dedicato alla vendita illegale di informazioni sensibili come password, dati bancari e carte di credito, particolarmente orientato all’Italia”, scrivono i magistrati nell’ordinanza. Per questo dovrà fronteggiare anche l’accusa di riciclaggio.
Per le criptovalute invece avrebbe creato lui stesso il Berlusconi Market, utilizzando i suoi genitori come prestanome. Ha usato le credenziali di un pubblico ministero di Napoli per bucare alcune reti. Ma è stato un passo falso perché alla fine il collegamento al sito porno lo ha messo fuori gioco. E adesso c’è attesa per la sua comparizione davanti ai giudici del Riesame di Napoli il prossimo 16 ottobre, nell’udienza che lo vedrà nella veste di imputato dopo l’arresto a Roma lo scorso 2 ottobre nell’ambito di indagini della Polizia Postale, coordinate dai magistrati della pool cybercrime della Procura di Napoli, sulle incursioni ai danni della rete informatica del ministero della Giustizia che hanno visto protagonista l’ingegnere informatico.
L’appuntamento con i giudici per il legale dell’indagato, l’avvocato Gioacchino Genchi, è previsto per le 9,30 davanti alla ottava sezione penale (collegio F). Il legale del giovane ha chiesto la scarcerazione, per motivi di salute, del suo assistito e ha chiesto anche il trasferimento degli atti alla Procura di Perugia, istanze tutte rigettate mercoledì scorso dal gip Enrico Campoli. Al 24enne gli investigatori contestano i reati di accesso abusivo aggravato alle strutture e diffusione di malware e programmi software in concorso. Il 24enne, secondo il legale, è stato vittima di bullismo. Già nell’interrogatorio sostenuto lo scorso 4 ottobre, il giovane ha fatto riferimento alle sue problematiche di salute, con una memoria nella quale viene, peraltro, evidenziato che gli atti di bullismo sono iniziati quando frequentava la terza elementare.
“Sì, sono stato io”, ha già ammesso Miano durante l’interrogatorio di garanzia davanti al giudice delle indagini preliminari di Roma. Quello che sorprende, o per lo meno fa riflettere sulla portata della vicenda è che il legale di Miano è proprio Gioacchino Genchi, ex consulente delle procure finito nei guai per la vicenda dei tabulati. Condannato nella sua qualità di consulente tecnico di Luigi de Magistris quando era pm e titolare dell’indagine Why not, a pagare 70 mila euro, oltre alle spese legali, a Clemente Mastella, all’epoca dei fatti segretario dell’Uder, senatore e ministro della Giustizia, stessa cifra in favore dei deputati Francesco Rutelli e Sandro Gozi. A Genchi era stato contestato l’abuso d’ufficio per aver acquisito, elaborato e trattato illecitamente i tabulati telefonici relativi a utenze riconducibili a vari parlamentari o ex-parlamentari.
Nell’ambito dell’inchiesta di Catanzaro sul malaffare in Calabria furono acquisiti, senza autorizzazioni delle Camere di appartenenza, i tabulati telefonici di parlamentari e ministri, tra cui gli onorevoli Marco Minniti e Ginacarlo Pittelli, il senatore Antonio Gentile e anche l’allora presidente del consiglio Romano Prodi. De Magistris e Genchi furono per questo condannati in primo grado e assolti in secondo. L’assoluzione è passata in giudicato per gli aspetti penali, mentre è rimasta in piedi, per il solo Genchi, l’azione per il risarcimento dei danni chiesti dai soli politici che hanno scelto di costituirsi parte civile.
Ancora prima il suo lavoro era diventato noto all’interno del pool di Palermo che doveva indagare sulle stragi di mafia del ’93. Per la giustizia incrociava i tabulati delle intercettazioni, per i detrattori intercettava centinaia di migliaia di persone e archiviava le loro conservazioni. Accuse che erano arrivate anche dall’ex premier Silvio Berlusconi ma dalle quali è sempre stato assolto. La prima sezione civile della Cassazione ha confermato l’annullamento dell’ordinanza con cui il Garante della privacy, nel 2016, aveva ritenuto illecito l’archivio informatico del superconsulente Gioacchino Genchi. Sulla presunta analogia che lo collega al suo assistito però ribadisce: “La mia era una vicenda politica. Sono stato accusato, ma il giudice ha dimostrato che il fatto non sussiste. Per Miano invece ci sono delle evidenze”.