Al 30 giugno scorso, i dati ministeriali segnalano la presenza di 23 donne dietro le sbarre con ben 26 figli al
seguito.
Roma – Al 30 giugno scorso, i dati ministeriali segnalano la presenza di 23 madri in carcere e 26 figli al
seguito. In particolare, presso la sezione femminile di Milano-San Vittore sono ristrette 5 madri e 6 bambini sotto i tre anni. Lo rileva in un documento l’Osservatorio carcere dell’Unione delle Camere penali, parlando di “ennesima vergogna, troppo spesso taciuta, dei bambini in carcere, costretti, loro malgrado, a condividere la cella con le madri recluse”. Nel dossier viene citato Giacomo, che a due anni vive in un carcere e dice solo “apri e chiudi”.
I penalisti osservano che “nonostante i moniti europei e internazionali, non siamo riusciti ad attuare un sistema in grado di impedire davvero l’ingresso dei bambini o delle donne incinte in carcere, attraverso l’uso alternativo delle case-famiglia, per ospitare in sicurezza le madri detenute e i loro bimbi. Addirittura – ricordano – si registra una opposta tendenza attraverso il disegno di legge denominato ‘Disposizioni
in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario’ che vorrebbe eliminare l’articolo 146, nn. 1 e 2, del codice penale, che prevede il differimento pena obbligatorio per le donne incinte e per le madri di bambini di età inferiore a un anno”.
“Rendere facoltativo, per tali categorie, il differimento della pena, ad oggi obbligatorio, delegando alla
magistratura la possibilità di escluderlo, in situazioni di pericolo di eccezionale rilevanza di commissione di ulteriori delitti, imponendo, così l’espiazione della pena presso gli istituti di custodia attenuata, manifesta una evidente incapacità della politica – aggiungono – di misurarsi con le esigenze prioritarie di tutela della maternità e dell’infanzia, riconosciute tali già dal codice Rocco”.
L’Osservatorio carcere dell’Ucpi pone quindi in rilievo “il dato, insuperabile, della presenza, su tutto il territorio nazionale, di soli 5 Icam, strutture comunque chiuse inidonee, perciò, alla corretta formazione e allo sviluppo del bambino: Lauro (AV), Milano San Vittore, Venezia Giudecca, Torino Lo Russo e Cotugno, Cagliari – si legge nel documento – rappresentano un numero troppo esiguo per garantire che la detenzione delle donne incinte o delle madri di bambini di età inferiore a un anno avvenga in zone prossime ai luoghi di residenza, nel rispetto del diritto alla territorialità stabilito dall’ordinamento penitenziario e dei criteri costituzionali di una pena che non sia inumana e degradante”.
A differenza degli Icam, proseguono i penalisti, le case-famiglia protette – introdotte, per le madri prive di un proprio domicilio idoneo, dalla legge Buemi del 2011 – “sarebbero delle soluzioni in grado di garantire alla mamma e al bambino un luogo più sereno e più aperto, inserito nel contesto urbano e non isolato dai principali servizi socio sanitari, territoriali e ospedalieri, simile, per quanto possibile, ad una casa”, ma
“purtroppo, non hanno ancora trovato adeguata attuazione. Solo due, ad oggi, sono le case-famiglia, gestite da privati: una a Milano e l’altra a Roma”.