Operazione “Mari e Monti” coordinata dalla Dda di Bari. Nel mirino l’attività del clan “Li Bergolis”, definito nelle carte dell’inchiesta “la più allarmante criminalità del territorio pugliese”.
Foggia – Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza in campo questa mattina per una maxi-operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari contro la mafia garganica. Nel mirino degli inquirenti le attività del clan “Li Bergolis”, colpito da 39 arresti (37 in carcere e due ai domiciliari) per associazione mafiosa, traffico di droga ed estorsioni. Contestualmente, sono stati eseguiti numerosi sequestri patrimoniali per un valore di dieci milioni di euro. Per tre degli arrestati, considerati capi dell’organizzazione, è stato disposto il regime carcerario speciale del 41-bis.
“L’operazione di oggi colpisce una delle organizzazioni più potenti della mafia della provincia di Foggia, colmando un deficit di intervento repressivo che, per il clan Li Bergolis, durava da 15 anni”, ha detto in conferenza stampa il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo. “Si tratta di una realtà di straordinaria pericolosità – ha aggiunto – nella quale, alla dimensione violenta, vessatoria e intimidatoria del gruppo si associa una capacità di operare nella modernità, dal traffico di stupefacenti al riciclaggio”.
L’inchiesta traccia il percorso evolutivo del clan nel suo passaggio da “mafia militare” al più evoluto e sofisticato profilo di “mafia degli affari”. Continuando però a caratterizzarsi per una forte connotazione familistica e per un robusto radicamento territoriale che garantisce al clan tenuta omertosa, saldezza del vincolo associativo e capacità di condizionamento ambientale, aspetto quest’ultimo, particolarmente evidente, nel favoreggiamento delle latitanze e nell’esercizio della pratica estorsiva.
I magistrati nel ricostruire le modalità organizzative del clan evidenziano la presenza di “una pluralità
di cellule, dislocate in varie località del promontorio, dotate di autonomia operativa ma gerarchicamente
riconducibili un’unica linea di comando di tipo verticale”.
Tra gli elementi più allarmanti evidenziati dall’inchiesta “la capacità di reclutamento di minorenni ai quali è riservato un percorso di tutoraggio con l’iniziale impiego nella commissione di reati predatori“. Gli inquirenti evidenziano anche come la carcerazione, anche di personalità di spicco del clan, non abbia impedito allo stesso di crescere e svilupparsi, mantenendo i contatti con l’esterno attraverso pizzini affidati ai familiari, l’uso della corrispondenza e l’abusivo utilizzo di apparati cellulari.
E ancora spiegano nelle carte i magistrati che “l’allarmante vitalità del clan Li Bergolis” è stata confermata dal percorso espansivo che li ha portati dall’entroterra al controllo di Vieste, conseguito dopo una sanguinosa contrapposizione armata con il rivale clan Romito-Lombardi- Ricucci. L’approdo al mare ha permesso al clan di occupare uno spazio significativo nella rete del narco-traffico internazionale, ponendosi quale affidabile interlocutore dei cartelli criminali albanesi e di importanti cosche della ‘ndrangheta reggina.
E gli ingenti capitali derivanti dal narcotraffico hanno favorito il percorso di infiltrazione nel
tessuto economico imprenditoriale e anche nell’apparato politico- amministrativo locale, generando, nell’ultimo decennio, lo scioglimento per mafia dei comuni di Monte S. Angelo, Mattinata e Manfredonia.