Un ritorno dello Stato nella gestione autostradale sarebbe conveniente per la collettività e potrebbe assicurare alle casse pubbliche decine di miliardi di proventi? Sicuramente.
Nonostante si parli di clima costruttivo, il vertice di ben tre ore tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, i ministri Paola De Micheli (Infrastrutture), Roberto Gualtieri (Economia) e i capi delle delegazioni di Pd, M5S, Leu e Italia Viva sulla concessione di Autostrade per l’Italia (Aspi) non ha portato a nulla di risolutivo, se non all’ennesimo rinvio.
Quale sarebbe la giusta punizione alla famiglia Benetton che si porta sulla coscienza le 43 vittime della strage del Ponte Morandi di Genova? Per i Grillini lo scenario più drastico sarebbe quello della revoca delle concessioni ad Aspi oppure, quello più morbido e caldeggiato, dell’offerta del governo ad Atlantia, che attualmente detiene l’88% di Autostrade, di scendere al 30%. In questo modo il 58% delle quote cedute lo rivelerebbe lo Stato attraverso Cassa depositi e prestiti (Cpd), il fondo F2i e i fondi delle casse previdenziali. Si procederebbe con un abbattimento dei pedaggi del 10% e i crediti che Cdp vanta con Aspi verrebbero trasformati in quota capitale. Usiamo il condizionale perché fonti della società per azioni in questione hanno confermato che è aperto anche un dialogo sulla concessione di un’altra linea di credito di cui al momento, però, è stata sospesa l’approvazione.
Eppure ”i signori del pullover”, assetati di guadagni come sempre, a causa dell’azzeramento degli spostamenti sulle autostrade dovute al lockdown, con perdite di ricavi stimati in un miliardo di euro, hanno pensato bene di chiedere, in Aprile, un prestito di 200 milioni di euro alla Cassa depositi e prestiti, non ancora concesso. Poi, pochi giorni fa, è stata inoltrata la richiesta di un altro prestito da 1,25 miliardi con la garanzia dello Stato, ma Sace non ha ancora dato una risposta.
E così la dinastia di Pozzano Veneto è passata al contrattacco: Atlantia darà 900 milioni ad Aspi per farle svolgere la propria attività ordinaria ma non farà gli investimenti promessi, i 14,5 miliardi, per i lavori straordinari sulla rete. Inoltre la società valuterà eventuali azioni legali per tutelare i suoi 31 mila dipendenti, di cui 13 mila in Italia. Un ricatto bello e buono? Una mossa per mettere pressione all’esecutivo? Mesi e mesi di discussioni e divisioni all’interno della maggioranza insieme all’arrivo del Covid-19 hanno impedito di giungere ad una decisione anche se, in realtà, l’origine di tutti i mali si era già era materializzata nell’articolo 35 del decreto Milleproroghe, il famoso decreto legge del 30 dicembre 2019, n.162 convertito in legge n.8 del 28 febbraio 2020.
Articolo che ha stravolto il sistema di riferimento della Convenzione unica tra Autostrade e Anas firmata il 12 ottobre 2007, durante il secondo governo Prodi, con la supervisione dell’allora ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro e con proroga, con il nulla osta dell’UE, fino al 2042. A detta dei Benetton l’articolo incriminato mette le mani sulle penali che lo Stato dovrà pagare in caso di revoca della concessione, delineando così uno scenario in cui Aspi è fuori dalla gestione della rete autostradale.
Ma di cosa si lamenta il gruppo veneto? La privatizzazione della concessionaria a partire dal duemila ai giorni nostri, con la gestione di 27 tratte autostradali in Italia, ha prodotto ricavi da pedaggio per 43,7 miliardi. Cifra sborsata da italiani e stranieri che sono transitati nelle arterie nostrane e riconosciuta dallo Stato alle Concessionarie per remunerare investimenti, manutenzione e per coprire i costi. Nello stesso periodo Aspi ha investito 5 miliardi in interventi di manutenzione e 13,6 miliardi per la realizzazione di nuove opere e migliorie. Il sistema tariffario italiano prevede anche un canone riconosciuto all’Anas e un onere concessorio al ministero dell’Economia e, per il periodo a cui si fa riferimento, questi costi sono stati pari a 3,6 miliardi. Piccolo particolare: il canone Anas è rimasto comunque in essere, anche ora che la società appartiene al gruppo Fs ed è diventato, di conseguenza, un concorrente.
In sintesi la società ha beneficiato in questi anni di 2,1 miliardi, cioè 130 milioni di euro l’anno, la maggior parte distribuiti agli azionisti sotto forma di dividendi. Alla famiglia Benetton è confluito il 30% dei dividendi, cioè circa 600 milioni. Ma non è tutto: bisogna ampliare l’orizzonte e volgere lo sguardo sugli altri profitti di Atlantia, che gestisce anche cinque tratte che non appartengono ad Aspi, oltre alle varie concessionarie acquistate in Sudamerica, agli scali aeroportuali di Fiumicino e di Nizza e all’acquisizione della spagnola Abertis Infraestructuras con sede a Barcellona.
Nonostante le tragedie derivanti dalla bassa qualità delle strutture viarie e dagli scarsi livelli di manutenzione – tra cui ricordiamo anche quella del bus con a bordo 40 persone precipitato nel vuoto nei pressi del viadotto di Aqualonga (Av) a causa dei bulloni marci e di problemi strutturali – il sistema continua ad essere sempre lo stesso: pedaggi più cari d’Europa e lobby economiche che programmano nuove autostrade per vedersi rinnovare le concessioni senza gare, tralasciando così le strutture ormai usurate dal tempo.
Un ritorno dello Stato nella gestione autostradale sarebbe conveniente per la collettività e potrebbe assicurare alle casse pubbliche decine di miliardi di proventi? E’ quello che si augura Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia, che ricorda come Atlantia abbia battuto cassa sui beni costruiti dalla Stato. Attendiamo una fumata bianca dal governo.