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Archeologia, i carabinieri recuperano oltre 200 reperti saccheggiati durante la Seconda Guerra Mondiale

I preziosi reperti erano stati trafugati nel 1943 dalla Torre di Pandolfo di Capodiferro a Sessa Aurunca, rasa al suolo dai tedeschi.

Monza – Nel corso dei consueti controlli delle piattaforme di e-commerce e dei siti specializzati nella vendita di opere d’arte, i Carabinieri del Nucleo TPC di Monza hanno individuato numerosi reperti di natura archeologica presentati come provenienti della collezione Pietro Fedele e già conservati presso la Torre di Pandolfo di Capodiferro di Sessa Aurunca (Caserta). Il Tenente Colonnello Giuseppe Marseglia, Comandante del Gruppo TPC del Centro Nord, ha restituito gli oltre 200 reperti al Soprintendente della SABAP per le province di Caserta e Benevento.

I primi accertamenti hanno permesso di verificare come questi reperti fossero di provenienza demaniale e già musealizzati in quello che era conosciuto come Museo della Civiltà Aurunca eretto nel 1926 dall’allora ministro dell’Educazione nazionale, Pietro Fedele. Ma soprattutto si tratta di beni asportati dalle truppe di occupazione durante la II Guerra mondiale.

Uno dei reperti recuperati (Foto: Carabinieri TPC)

In collaborazione con i funzionari della SABAP (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio) e personale dell’Istituto Centrale del Restauro, i militari hanno potuto ricostruire le vicende che hanno visto protagonista proprio la Torre di Pandolfo di Capodiferro. Una torre longobarda che, nel 1943, fu bombardata e rasa al suolo dalle truppe di occupazione tedesche non prima però di averla depredata. Destino comune ad altre città e luoghi di cultura come Milano, Montecassino, ma anche Pompei e il Ponte Borbonico Real Ferdinando che sormonta il fiume Garigliano, luogo dove i tedeschi avevano fatto partire la nota “Linea Gustav”. Gioielli del nostro patrimonio culturale che subirono le conseguenze belliche del Secondo Conflitto mondiale.

Un altro dei reperti recuperati (Foto: Carabinieri TPC)

La Torre di Pandolfo Capodiferro fu concessa negli anni venti in enfiteusi a Pietro Fedele dal Comune di Sessa Aurunca proprietario dell’immobile e dell’area demaniale circostante, su sua richiesta per realizzare un Museo archeologico, per un canone annuo di 200 lire e con l’obbligo di restaurarla. Il canone fu poi ridotto a una lira “quale segno tangibile di riconoscimento e di gratitudine (…) per la ricostruzione della Torre longobarda”. Nel 1926, Pietro Fedele si appassionò a tal punto alla gestione della Torre come vestigia di una propria identità culturale che la fece inserire nello stemma di famiglia nonostante la proprietà fosse demaniale.

Il museo occupava tutti i quattro piani della torre mostrando numerosi reperti archeologici, numismatici e altri che appartenevano al medioevo. Alle centinaia di pezzi in oro, argento e anche in avorio si aggiungevano il ritratto di Giulia Gonzaga di Jacopo del Conte, stampe antiche rappresentanti vedute del territorio di Minturno, Gaeta, Fondi e Formia senza dimenticare l’angolo dedicato a Maria Cristina di Savoia e i circa 8 mila volumi custoditi nella biblioteca.

Foto: Carabinieri TPC

L’indagine, minuziosamente condotta, ha consentito ricostruire il viaggio che questi beni percorsero nel tempo. Il bottino del rastrellamento eseguito nell’autunno del 1943 quando le truppe tedesche del 15° Panzer Gran Division I.C. entrarono – per conto del Kunstschutz – e depredarono il Museo, venne accuratamente selezionato dai soldati e raccolto in numerose casse. Parte del materiale è stato poi restituito tramite l’Archivio di Stato di Roma Sant’Ivo e Castel Sant’Angelo, luoghi presso cui vennero depositati i beni durante la guerra, agli eredi di Pietro Fedele.

Al termine della guerra, i beni dispersi furono oggetto di una specifica indagine condotta dall’allora ministro plenipotenziario Rodolfo Siviero, a capo del Comitato per le restituzioni; attività successivamente sugellata dalla pubblicazione nel 1995 del volume “L’opera da ritrovare. Repertorio del patrimonio italiano disperso all’epoca della Seconda Guerra mondiale”. Ad oggi mancano all’appello ulteriori reperti archeologici, monete, medaglie e vario materiale riconducibile all’attività istituzionale svolta dall’allora Ministro dell’Istruzione, Pietro Fedele.

Foto: Carabinieri TPC

Come affermato da esperti del settore, la distruzione della torre “è stata una perdita per la cultura e per la regione, una delle più gravi disgrazie”. Per questo motivo, la restituzione da parte dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale acquisisce un valore inestimabile perché restituisce il vero valore a questi beni culturali che, come recita l’articolo 2 del “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, sono oggetti che rappresentano testimonianza avente valore di civiltà e ogni volta che qualcuno considera questi beni solo come oggetti da vendere sottraendoli dal loro contesto storico e dalle loro origini, cancella la loro eredità culturale ovvero il loro vero valore impoverendo così tutti noi.

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